lunedì 19 giugno 2017

Il gran finale


Decima tappa, Borgo Val di Taro - Pontremoli 27 km (di 33)

Vorrei raccontarvi dettagliatamente questa tappa che è stata la più lunga e la più dura di tutta la Via degli Abati ma non ci riesco, non ora almeno; ci sarà tempo e probabilmente sarà un libro a farlo, uno scritto a quattro mani con Natascia che è stata una compagna di viaggio coraggiosa, sia nell'affrontare dislivelli crudeli, sia nel sopportare un orso come me.
Per ora posso solo dirvi che abbiamo rubato 6 km al percorso perché il ginocchio di Nat dava segni di disagio esattamente come un muscolo della mia coscia sinistra.
Da Valdena abbiamo raggiunto, non senza sforzo, il Passo del Borgallo attraverso boschi di una bellezza esagerata e percorso il bellissimo crinale che porta verso il monumento ai partigiani della Val Verde e alla sterrata che scende verso Cervara e poi verso Pontremoli. 
Posso dirvi che a Pontremoli c'era il comitato d'accoglienza composto da quel tesoro di Gianni Cella ed è stato un momento bellissimo.
Posso dirvi che questa doppia avventura è stata un'esperienza unica, che mi ha permesso di gustare luoghi di questo nostro bistrattato paese che non si arrendono al decadentismo imposto da anni da classi dirigenti incapaci, di conoscere persone che fanno dell'accoglienza una forma d'arte e un'espressione d'amore, di vedere la natura ancora selvaggia vivere i suoi ritmi e le sue ancestrali abitudini e di tutto questo io sono enormemente grato. 
Sono grato a chi a queste strade dedica tempo, passione, amore, a chi, come me, le cammina alla ricerca delle sue sensazione e delle sue riflessioni.
Sono infine grato a tutti voi che avete trovato quei due minuti al giorno per leggere i deliri di questo pellegrino sui generis; spero di avervi trasmesso parte delle mie emozioni, perché è questo quello che fa uno scrittore, comunica, racconta, condivide.
Mi aspettano un paio di lunghi e intensi mesi dedicati a scrivere "I giorni di Postumia" ma di questo saprete tutto più avanti, a tempo debito.
Ora è tempo di festeggiare, di bere e di mangiare per cui mi perdonerete se la taglio corta.
Vi saluto e vi ringrazio tutti dal profondo del cuore augurando a tutti voi Buon Cammino.
Ultreya.

domenica 18 giugno 2017

La Maestà, S. Cristoforo e i preti volanti


Nona tappa, Osacca - Borgo Val di Taro, 17 km.

Il borgo di Osacca è immerso nel sonno profondo quando ci mettiamo in.Cammino: le uniche case in cui non si dorme sono quelle crollate, scheletri di vecchie dimore che nessuno vuole più.
La strada sale subito e con qualche curva ci porta là dove inizia il sentiero che si inoltra nel bosco della Ramata; il silenzio regna sovrano se escludiamo i versi degli uccelli appollaiati sui rami che peraltro si fanno muti appena ci addentriamo fra gli alberi secolari: siamo intrusi, ospiti appena tollerati in un habitat puro.
Si sale con passo lento e dopo poco meno di un km due caprioli ci sfrecciano davanti andando a infrattarsi; uno dei due lancia più volte il suo verso sgraziato che tradotto potrebbe significare "due rompipalle sul sentiero, state lontani". 
Si cammina benissimo, su una larga strada della forestale che sale, sale, sale, puntando, fra curve e tratti dritti, al punto più alto della tappa odierna: La Maestà. 
Non sappiamo cosa aspettarci esattamente da cotanto regale nome per cui continuiamo a camminare fra grossi alberi dai tronchi contorti e liane pendenti da rami frondosi; uno si aspetterebbe di veder passare Tarzan nella sua classica tenuta animalier e scimmia Cita a seguito e invece è un altro capriolo a tagliarci la strada di gran lena seguito, poco più avanti, da una grossa lepre saltellante.
Questo bosco è una vera meraviglia e ci dispiace un po' lasciarlo quando, alla fine, arriviamo al cospetto de La Maestà: trattasi di piccola cappella dedicata alla Madonna riciclabile alla bisogna in rifugio per pellegrini e viandanti stanchi, in ritardo, sorpresi dalla pioggia e chi più ne ha più ne metta.
Apro il piccolo cancello ed entro in punta di piedi cercando di rispettare il più possibile la sacralità di questo bellissimo micro luogo e, visto che ci sono, accendo pure una candela che gli regala un aspetto ancora più mistico/magico.
Da li inizia la discesa, prima ripida, poi alternando tratti pianeggianti a brevi perdite di quota; costanti compagni di viaggio sono l'uccello che fa cu cu e un bellissimo insetto-farfalla carino e curioso che ormai da giorni ci vola intorno e che qui nella zona tutti chiamano "il prete". 
Il bosco si allarga lasciando qua e là spazio a piccole radure; in una di queste c'è una baracchetta chiusa e recintata da reti metalliche: siamo a Pradonico, il posto giusto per una sosta, per bere e mangiucchiare qualcosa.
Poco più avanti c'è una piccola cappella in onore dei partigiani morti per combattere il nazi fascismo; la zona è stata teatro di forti scontri e grandi atti di eroismo e non bisogna dimenticarlo mai.
Ci sono ancora un paio di km in cui saliamo leggermente poi, dopo ore di ombra rinfrescante, usciamo dal bosco e abbracciamo nuovamente il sole: siamo a La Rola, una sorta di balcone naturale dove la vista spazia finalmente libera sulle montagne di domani che segnano il confine fra l'Emilia e la Toscana e sulla valle del Taro, giù, ai nostri piedi.
Da li è tutta discesa fino alla piccola chiesa di S. Cristoforo recentemente restaurata ma inesorabilmente chiusa. Il suo campanile si staglia sui boschi e su un cielo azzurro intenso e costellato di nuvolette bianche; è un luogo molto bello ma la pausa la facciamo poco più giù, in Loc. S. Pietro dove una casa, viva ma chiusa fa da guardiano ad un ciliegio stracarico di frutti maturi: saccheggiarne qualche ramo è pressoché inevitabile.
Da qui in poi il sentiero scende rapidamente verso il fondovalle e verso il paese, la nostra meta; Borgotaro è invasa dagli alpini per uno dei tanti raduni e stasera ci sarà da divertirsi ma per ora pensiamo solo alla doccia e riposar le stanche membra, le vere priorità.
Domani si chiude.

sabato 17 giugno 2017

La Smarrita e il bosco dei non morti


Ottava tappa, Bardi - Osacca, 15 km.

Dovrebbero inventare una teleferica che dal punto più alto del castello di Bardi faccia volare viandanti e pellegrini dall'altra parte della vallata: ridurrebbero drasticamente il dislivello della prima salita e ci sarebbe da  divertirsi anche un bel po'. Ma noi siamo camminatori, non temerari volanti per cui si scende a fondo valle, si attraversa il ponte sul Ceno, poi un altro su un affluente secco dal nome sconosciuto​ e infine si comincia a salire, salire duro.
Si va per asfalto, sterrata e sentiero, con una pendenza costante di quelle che ti fanno morire le parole in bocca e ti rendono un'informe massa sudata alle primissime ore del mattino, come se il tempo fra il pre doccia di ieri e l'adesso non fosse mai passato.
Si respira un po' solo quando si arriva in località Chiappa, un luogo dal nome evocativo che piacerebbe molto ai Minions.
Lì la strada spiana un po' e la vista si allarga regalando gioia e conforto, ma dura poco: gli Abati ricominciano a salire fra boschi e calanchi e stargli dietro torna ad essere faticoso.
Quando incontriamo la prima casa di Monastero sembra di precipitare in una favola dei fratelli Grim: nascosta dai rami e avvolta dall'edera, sembra essere la trappola perfetta per qualche bambino sprovveduto e sperduto. Appare il campanile di una chiesa a dare conforto ma le case in pietra che incontriamo, sovrastate dalla roccia viva, sembrano tutte in rovina, con i tetti sfondati e le mura lacerate. E invece no, invece qualcosa rimane, qualche brava persona ha dato nuova vita a queste abitazioni senza intaccarne troppo l'antico fascino. 
Ci sediamo sui gradini del campanile per una insindacabile pausa a base di banane ed acqua fresca; il parmigiano, new entry nello zaino grazie alla signora Silvana di Bardi, rimane lì, dimenticato e il suo potenziale energetico inespresso.
Si riparte in salita fra i calanchi e, dopo essere passati sotto una specie di Golgota chiamato inevitabilmente Tre Croci, si scende rapidamente sul sentierino più sassoso del mondo che finisce dritto dritto nel ruscello; guadiamo senza difficoltà le sue poche acque e risaliamo ripidissimi e con passo da bradipo fino a sbucare nuovamente su asfalto, davanti ad un piccolo cimitero e ad una chiesetta senza particolari attrattive. La strada ci porta a Brugnola dove una fonte ci permette di rifornire le borracce per lo strappo finale, il più duro.
Siamo stanchi, i muscoli reclamano, tutto il corpo protesta; quando giungiamo al bivio in cui il sentiero punta dritto verso la cima della montagna e stiamo per lasciarci sedurre dall'ipotesi asfalto (se si può definire tale viste le sue condizioni) scopriamo l'esistenza di una Via Bassa per Osacca che si addentra nel bosco e scegliamo lei: è il regalo più bello della giornata.
Il bosco è vagamente lugubre nonostante i numerosi uccelli che cinguettano felici: gli alberi non sono alberi, sono creature contorte e deformi, scavati nei loro tronchi, svuotati, come se fossero morti, eppure ancora carichi di foglie. 
Alcune radici sembrano mani protese, pronte a ghermire l'ignaro passante e alcuni sassi, coperti dal muschio, ricordano antiche creature di epoche lontane.
Camminare in questo luogo è bellissimo, al di là dei brevi, inevitabili strappi e del saliscendi impietoso. Scavalliamo la montagna molto più in basso del percorso "ufficiale" con la certezza che, più prima che poi, sarà questa la via maestra.
Risbuchiamo sui calanchi e scendiamo a ricongiungerci alla strada; da lì ad Osacca mancano poche centinaia di metri e li copriamo con la disperazione di chi sogna una doccia da anni.
La Smarrita ci attende, è una casa in pietra portata a nuova vita con sacrifici e tanta passione da una coppia di Modena. Deve il suo nome alla piccola campana della vicina cappella, che anticamente, quando si avvicinava la sera, chiamava a se con i suoi rintocchi i pellegrini in cammino e i contadini nei campi in modo che nessuno rimanesse al buio senza un riparo sicuro.
Pellegrini siamo, e anche se la campana non suona più, qui troviamo una bella accoglienza, come se il tempo non fosse passato.

venerdì 16 giugno 2017

La piccola torre, la grande fortezza


Settima tappa, Groppallo - Bardi, 21km.

Sulla carta una tappa medio lunga ma non impegnativa, tutta in costa e poi in discesa.
La cronaca.
Riusciamo a strappare mezz'ora di anticipo sulla colazione ai gestori dell'albergo (7 al posto di 7,30) e dopo venti minuti siamo sulla Strada. La abbandoniamo subito per un sentiero che sale e guadagna dislivello smentendo ogni previsione e io continuo a ripetermi come mantra "non dura, non dura, non dura" alternandolo ogni tanto con un più evocativo "ora spiana, ora spiana, ora spiana", ma non serve a nulla, non.subito almeno.
Quando la pietrosa mulattiera trova alfine la sua orizzontalità, scenari bellissimi si aprono attorno a noi grazie a un cielo terso, alle pochissime nuvolette e ai colori della natura; la grande vallata di cui stiamo percorrendo il periplo è selvaggia e boscosa e il suo manto verde, qua e là, è bucato da un campanile o da piccoli gruppi di case che rispondono a buffi nomi come Selva Sopra, Noce Sotto e il famigerato Grezzo.
Proprio in prossimità di Selva incontriamo la piccola Torre di Sant'Antonino, solitaria e minima fortificazione monoposto, che è stata recentemente restaurata e fa bella mostra di se ai bordi di un campo; la sua apparizione, così improvvisa, sorprende, come se quella costruzione fosse fuori luogo, come un pesce nel bel mezzo di un deserto.
Pochi chilometri e, dopo aver incontrato pavoni fifoni, lumache bavose e farfalle di ogni genere, arriviamo al Passo di Linguadà; non è una sosta piacevole, ai gestori del bar che domina il passo hanno appena investito un cane, uccidendolo, e c'è un'inevitabile aria di tristezza. Ripenso a Cane Fabio e alla sua spensieratezza e mi auguro che stia bene e soprattutto che non debba mai trovarsi a fronteggiare un idiota in macchina che corre superando il limite solo perché non ha niente di meglio da fare (e niente di meglio è un eufemismo). 
Siamo entrati ufficialmente nel parmense e ci lanciamo in discesa verso Cerreto, ci riagganciamo alla Provinciale dove le macchine sono pari a zero e poi nuovamente su sentiero fino ad arrivare a Cogno Grezzo, frazione del famigerato Grezzo, a sua volta frazione di Bardi. Facciamo una sosta meritata levando le scarpe e mangiando frutta e, come molte altre volte prima di adesso, sopraggiunge la macchina del postino che, si sa, suona sempre due volte.
Su strada raggiungiamo Grezzo (sempre lui, il famigerato), lo superiamo e andiamo giù dritti verso Bardi. 
Il castello, o meglio, la fortezza svetta e domina tutto il borgo con la sua imponenza; di fronte una nuova serie di montagne, quelle di domani ma per ora meglio non guardarle, ora è tempo di una doccia, un po' di riposo e poi una visita al paese.
P.S. 
Comunque -3, così, per dire.

giovedì 15 giugno 2017

Cane Fabio e il pediguado fresco


Sesta tappa, Nicelli - Groppallo, 13 km.

Dopo una notte fresca, dormita sotto la sicurezza di una coperta si può affrontare di tutto: con questa convinzione inizia la giornata e con il saluto del cavallo amico che staziona davanti all'agriturismo Le Sermase, un posto veramente bello. 
La colazione scende giù velocemente e si può affrontare la tappa con tranquillità, anche perché i primi 8 km sono tutti in discesa. 
Il sole dipinge di luce tagliente le montagne, gli alberi e i campi e in lontananza una leggera nebbiolina dona un aspetto​ fiabesco a tutto il paesaggio.
Si sente che ieri ha piovuto, l'aria è più fresca e le gambe, strusciando contro gli arbusti, si bagnano, una sensazione piacevole dopo giorni di arsura e siccità. 
Si passa attraverso il disabitato di Molinari (la sambuca non c'entra) e lo scarsamente abitato di Bolderoni dove avviene l'incontro che cambia la giornata. Un bracco bellissimo ci viene incontro e, come da contratto, ci abbaia; è tutto teatro, si vede lontano un miglio e dopo un paio di tentativi fatti di  mani annusate e bastoncini nascosti si rivela per quello che è, un giocherellone affettuoso. Lo dice anche il signore che prova a chiamarlo ma lui non ne vuole sapere e comincia a camminare con noi. Lo fa per 7 km.
Si creano alchimie particolari quando si è in Cammino e piccoli eventi straordinari accadono spontaneamente senza che nessuno ci metta la volontà. 
Per quei 7 km, quei bellissimi 7 km, il cane è mio ed io sono suo; mi cerca, mi cammina al fianco, sparisce per un attimo ma poi torna da me, come se il nostro fosse un legame di vecchia data, intimo e profondo. Non so il suo nome, ma sul collare, vicino a un numero di telefono, c'è scritto​ Fabio ed è così che inizio a chiamarlo e lui sembra gradire il suo nuovo nome.
Il sentiero scorre e l'idea "prima o poi Fabio torna da solo verso casa" svanisce lasciando il posto ad una più fantasiosa "Fabio viene con noi fino a Pontremoli".
A nulla valgono le numerose chiamate e i messaggi inviati al numero di Fabio Padrone, nessuno risponde e intanto il chilometraggio aumenta, si passano altri micro borghi deserti e infine si arriva giù al fiume. Qui incrociamo un piccolo furgone con due persone a bordo ed io lo fermo chiedendo, malvolentieri, se conoscono il cane o il padrone ed è così che un amore appena nato finisce bruscamente. In questi luoghi desolati tutti conoscono tutti, e per tutti intendo anche i cani di tutti, compreso Fabio, il mio Fabio.
Io ci metto poco ad affezionarmi ad un animale, mi basta uno sguardo, esattamente come è successo stamattina con la nera mucca affettuosa, che mi si è avvicinata e si è fatta accarezzare la fronte dopo avermi leccato la mano; separarmi da Cane Fabio, da quei suoi occhioni simpatici e pieni d'amore mi da tristezza e, se capisco un po' della gestualità canina, credo che il sentimento sia reciproco. Ma è giusto così, un cane, un padrone, però quelle orecchie penzoloni, quel suo buffo modo di correre mi mancheranno.
Penso che se non avessimo incontrato quei ragazzi​ e lui avesse guadato con noi il fiume la storia sarebbe andata diversamente, o almeno mi piace pensarlo.
Il guado: è il secondo avvenimento bello della tappa. Il Nure come fiume non è un granché, almeno in questa stagione arida ma per attraversarlo bisogna comunque entrarci per cui: via gli scarponi, su i sandali e si va. Sia io che Nat regrediamo ad un'età prescolare e ci lasciamo travolgere dalla refrigerante esperienza di camminare nell'acqua gelata e ce la prendiamo comoda.
Sono le ultime risate perché la salitaccia infame verso Groppallo ci aspetta sulla riva opposta e in soli 4 km riesce a cancellare dalle nostre facce qualsiasi traccia di euforia. 
Arriviamo in cima poco dopo mezzogiorno, ridotti uno straccio e ognuno in una sua forma di delirio ma il paese è minuscolo e l'accoglienza è proprio lì, a due passi. Ci accasciamo sui tavolini esterni e poniamo fine allo sforzo chiudendo una tappa intensa. 
Venceremos!!!

mercoledì 14 giugno 2017

La tappa dura, con grinta e con slancio


Quinta tappa, Bobbio - Nicelli, 22 km - 2 + 1

Sia io che Nat ci svegliamo con quell'ansietta da prestazione escursionistica che già da ieri ronzava attorno a noi, nelle nostre teste. La tappa di oggi è praticamente tutta in salita, e i primi km sono di quelli che non augureresti nemmeno al tuo peggior nemico.
Lasciamo le stanze alle 5,45, una ricca colazione di 15 minuti esatti e quando il campanile rintocca si parte. 
Attraversiamo il ponte gobbo che, con le prime luci del giorno, ha un aspetto decisamente più magico rispetto a ieri; la strada asfaltata si inoltra in piano nel bosco fino ad attraversare un ponte, poi prosegue in leggera salita ma lo fa da sola: a noi tocca la sterrata, quella che sale, senza pietà. Più andiamo su più lei si restringe e si addobba di sassi rendendosi più inospitale di quanto già sia; sbuchiamo su asfalto ma non abbiamo nemmeno il tempo di poggiare i piedi sul terreno stabile che quella ricomincia a salire nel bosco. Per essere così presto il tasso di umidità è già altissimo e si suda copiosamente; il sentiero si fa via via più impervio ma quando sbuchiamo su asfalto, spompati e sbuffanti, e ci rendiamo conto del dislivello coperto ci prende un piccolo moto d'orgoglio e credo che sia del tutto meritato. Pochi minuti ancora e sbuchiamo a Santa Cecilia, borgo semi disabitato dove facciamo la prima sosta sotto gli occhi vigili di un cane vecchierello che non ha più la forza di abbaiare e cosi si limita a sorvegliarci. 
Scegliamo di non passare per Coli e di fare la variante che passa per il Santuario di Sant'Agostino che ci fa risparmiare 2 km e un po' di dislivello. È tutta su asfalto ma di macchine, così come di presenze umane, nemmeno l'ombra. Incontriamo invece una grossa lepre, un ramarro verde fluo, tantissime farfalle e delle grosse rocce dal colore cangiante. La strada sale costantemente ma lo fa in maniera morbida, senza strafare, e poi si è quasi sempre all'ombra per cui il camminare è lieve. 
Il Santuario è una piccola cappella chiusa con, sul davanti, una bella statua del santo e, su un lato, un tavolaccio vista vallata con due panche che fanno proprio al caso nostro; è ora di rifocillarsi e banane, pesche noci, albicocche e acqua fresca sono un'ottima fonte di energia..
La strada continua a salire dolcemente fino a sbucare al Passo di Santa Barbara, dove c'è il monumento più brutto del mondo; trattasi di angelo con spadone puntato a terra ed ali ritte, una cosa veramente ripugnante.
Da li la strada continua a salire in un paesaggio bellissimo fatto di piccoli pini, pascoli e strane forme rocciose, fino ad arrivare al punto più alto della tappa odierna, la Sella dei Generali, a quota 1218 m.
Qui i due sentieri si riuniscono in una larga sterrata e proseguono uniti verso Nicelli, dapprima in piano poi scendendo sempre di più. 
Le nuvole cominciano ad addensarsi, risparmiandoci un paio di gradi e quando arriviamo al Fontanone, dove sgorga un'acqua buonissima e gelata, decidiamo di fare l'ultima sosta del giorno. 
Non so cosa sia successo di preciso, sara stato il caldo, l'euforia idrica o chissà cos'altro ma quando ripartiamo imbocco il sentiero sbagliato, quello che scende a Mareto. Me ne accorgo solo dopo mezzo km e quando questo accade la vallata risuona dei miei potenti improperi; facciamo dietrofront e proprio in quel momento le nuvole decidono che la pioggia è rinviatata a data da destinarsi e si riaprono di scatto lasciando che il sole torni a cuocerci. Se non è accanimento questo...
Quando arriviamo di nuovo al fontanone per prima cosa mi bagno la testa poi controllo il gps e in quel momento arrivano due mountain bikers tedeschi che ci indicano il sentiero per Nicelli. 
Ci vuole poco ad arrivare, una mezzoretta, poi finalmente possiamo goderci la nostra doccia: oggi ce la siamo proprio meritata.

martedì 13 giugno 2017

Il Pian Perduto e lo paese antico


Quarta tappa, Grazi - Bobbio, 13 km.

Dopo una pasta col tonno di proporzioni bibliche, un tramonto sublime ed una notte fresca e serena tre km abbondanti di salita si fanno senza alcun problema.
La prima meta è il Giardino Alpino di Pietracorva e la presenza di qualcosa di alpino in pieno appennino ci fa sorridere non poco. È li che si abbandona la strada e, seguendo il recinto di questa oasi naturalistica, ci si inoltra nella faggeta. Strani alberi i faggi, asociali per natura tendono a fare gruppo fra loro e difficilmente lasciano entrare altre specie arboree nel luogo dove mettono radici. 
Dopo qualche centinaio di metri in salita si arriva a un quadrivio dove vari sentieri puntano in direzioni diverse, compreso il nostro, ma ce n'è uno che punta in alto ripidamente, uno a sfasciumi e terriccio,proprio ciò che detesto; porta ad un simpatico montarozzocon punta rocciosa che risponde al nome di Pian Perduto: come si fa a non guadagnarne la cima. Da lassù c'è un panorama pazzesco, si vede la valle che abbiamo camminato fino a ieri e anche quella che cammineremo oggi e domani. È un luogo molto bello, un posto da meditazioni spinte.
Scendiamo non senza difficoltà e iniziamo a camminare in piano nella faggeta e si cammina troppo bene, all'ombra, in silenzio, in pace: non può durare. Arriviamo ad un curvone della provinciale dove c'è un simpatico bar ristorante pieno di scritte buffe fra cui un cartello che riserva il parcheggio ai soli alieni; sarebbe bello soffermarsi ma apre solo nel weekend​, sigh. 
Tagliamo un paio di curve grazie a una sterrata ma poi siamo di nuovo su asfalto, in ripida e tortuosa discesa verso Bobbio. Alcune buffe nuvole frisè si sistemano nel cielo, una in particolare sbuffa in verticale come un segnale di fumo Apache ma poi, col passare dei minuti e i colpi del vento si trasforma in un tubo a spirale che poi si reclina da un lato creando un effetto suggestivo insieme al bosco, ai calanchi e ai campi di grano.
Bobbio è ormai vicina, tuttavia ancora gioca a nascondersi, a farsi desiderare; imbocchiamo un'ultima sterrata rognosa e sassosa che taglia via la strada portandoci dritti fino in paese.
Fa caldo, parecchio e, dopo l'agognato succo di mirtillo, ripariamo subito nel b&b per una doccia fresca e un po' di relax: ormai siamo qui e il paese non può certo fuggire, romperebbe tutto il ponte.

lunedì 12 giugno 2017

Quando si comincia a fare sul serio


Terza tappa, Pometo - Grazi (Romagnese), 15 km.

Abbandonare un posto dove non sei stato bene è una vera liberazione e questo concetto vale in toto per Pometo, borgo brutto e anaccogliente, uno di quei posti che ci si lascia volentieri alle spalle.
La discesa per Caminata segue prima la strada poi, ad un curvone, decide di affrontare il Borneo piacentino, una infida giungla bassa fatta di prato incolto, piante carnivore rinsecchite ma ancora mordaci e vaghezza assoluta del sentiero. In nostro aiuto giunge uno dei santi protettori del pellegrino, San GPS. Lo so, lo so, il gps non si dovrebbe usare ma a volte può tornare utile e poi, come ho detto più volte, io con i pellegrini straight edge non vado molto d'accordo.
Usciamo dalla giungla e scendiamo lungo una via sterrata che va verso il paese; dalla fattoria che costeggiamo escono Charlie, un bel maremmano gigante e il suo fido scudiero Bastardino Gnappo, e dopo una cavalcata epica nel prato ad erba medica ci raggiungono. Charlie è un cane buono, mi lecca la mano che gli porgo poi fa subito una pisciatina (spero le due cose non siano correlate); il suo compare fa gli stessi gesti poi ritornano di corsa da dove erano venuti e noi possiamo fare il nostro ingresso a Caminata.
La sosta è obbligata: nelle scarpe si è infilato un intero campionario della flora locale e camminare risulta impossibile. Il paese è bellino assai e fino a poco tempo fa era punto tappa ma l'accoglienza ha chiuso e i viandanti, ahimè, se li è presi Pometo. Incontriamo però un signore che ha organizzato una proloco e mette a disposizione la sua casa, così questo bel borgo potrà tornare ad essere ospitale con i pellegrini.
La salita che da Caminata porta a Trebecco ammazzerebbe perfino uno stambecco (così, per far la rima) e nonostante il paesaggio ai lati sia bellissimo e delle nuvole amiche tengano a bada il sole, quando arriviamo su siamo a pezzi e ci concediamo una nuova sosta.
Il paese è un minuscolo borgo di quelli tipici dell'appennino e il bar non è contemplato: patimus.
Da lì in poi si va per saliscendi, pezzi in piano, nel bosco, fra i campi e nonostante qualche strappetto si cammina bene. 
Ci concediamo un'altra sosta ai bordi di un fienile in disuso, la stanchezza comincia a farsi sentire e i pochi refoli di vento che ogni tanto giungono a rinfrescatci non riescono a lavar via la fatica. 
Non manca molto alla meta, roba di tre km o poco piu; il sentiero danza sul crinale/confine fra la Lombardia e l'Emilia e si avvicina fra saliscendi, mucche al pascolo, lucertole fugaci ed una vipera fifona, alla frazione di Grazzi. 
C'è il tempo per un incontro pellegrino, una coppia con cane al seguito che, partita da Caminata proseguirà per Bobbio, la nostra meta di domani; selfie di rito poi ci separiamo, ognuno per la sua strada. La nostra passa davanti ad una bellissima fonte dove bagnarsi la testa, più che una necessità, è un dovere; riempiamo le borracce ma ormai siamo arrivati e, questa volta l'accoglienza è di quelle speciali.
I muscoli dolgono ma ce la possiamo fare.

domenica 11 giugno 2017

Fra i vigneti, con molta calma


Seconda tappa, Colombarone  - Pometo, 16 km.

Col senno di poi avrei anticipato l'uscita di una mezzoretta, ma tant'è.
Facciamo colazione velocemente poi si va a prendere un caffè di rinforzo al bar da Martina e si fa anche un selfie di rito.
La strada è la stessa che ho fatto lungo la Via Postumia, almeno fino al bivio per Castana, sale e scende dolcemente, con begli scorci sul castello di Cigognola da una parte e i vigneti verso i colli piacentini dall'altra; poi la Postumia scende a destra e noi proseguiamo a sinistra. Si incontrano tanti piccoli borghi e frazioni; in uno un cane vecchiarello con al collo un campanaccio degno di una mucca ci segue tintinnando, ma viene in pace e si fa anche accarezzare; in un altro,in un altro un omino che guida un carretto a cavallo in compagnia del suo cane si ferma a chiacchierare con noi. Nel frattempo passano un sacco di ciclisti e tutti ci salutano calorosamente, così come tutti gli abitanti delle case indaffarati con i loro giardini, gli orti e tutte le altre tipiche occupazioni domenicali all'aperto.
Proseguiamo mentre il caldo sale, nonostante ci sia un leggero venticello che rende le salite, inaspritesi col passare dei km, più facili da affrontare. 
Ci fermiamo all'ombra davanti ad una chiesa e facciamo una sosta in cui mangiamo una banana e beviamo un po' d'acqua; quando ripartiamo entriamo ufficialmente nella terra del Pinot Nero e, oltre alle vigne incontriamo nell'ordine: 
1- una coppia di asini poco socievoli
2 - un uomo vestito come Super Mario Bros che sistema la sua siepe
3 - un macchinario pieno di ruote dall'utilizzo sconosciuto.
Da qui in poi le temperature salgono ulteriormente, il vento cala notevolmente, e ogni salita diventa molto più faticosa. Ripariamo in un bar a Caseo e ci rifocilliamo con una succososta lunga e meritata. Pometo è a un tiro di schioppo, se ne intravedono i tetti sopra il crinale ma la salita per arrivarci,che costeggia una vigna,  è ostica e argillosa e spezza gambe e fiato; poi finalmente si entra a Pometo e si può chiudere la tappa.

sabato 10 giugno 2017

Giuda, la pianura e la direttissima infame


Prima tappa, Pavia - Colombarone, 23 km.

Quando si inizia un nuovo Cammino si prova sempre una sensazione strana, figlia di una bizzarra alchimia di ansia, euforia, irrequietezza e timore: è una specie di folle frenesia che ti resta appiccicata fino a quando non entri a regime, quando il tuo personale contachilometri inizia a segnare cifre consistenti. 
Oggi non è così, vuoi perché il mio contachilometri è andato in overload da un bel pezzo, vuoi perché stavolta non sono solo, Natascia è tornata e camminerà con me fino a Pontremoli ed è una presenza bella che dà armonia. 
Però, purtroppo per noi, per una sorta di crudele contrappasso, c'è anche una presenza nefasta, subdola e  traditrice come il nome che porta: è Giuda, l'anticiclone rovente, nemico giurato di tutti i pellegrini del mondo, compresi quelli laici.
Ma andiamo con ordine.
Ci mettiamo in Cammino che alla fine, di riffa o di raffa, sono le 7,30;  i chilometri in programma non sono tantissimi e l'unica salita è alla fine ed è breve.
Gli zaini pesano un po' di più per la frutta e le barrette comprate a Pavia ma l'uscita dalla città è piacevole, lungo il fiume prima, poi per una strada poco trafficata e infine laper i campi; per me è l'ennesimo viale dei ricordi perché fino a un certo punto Abati e Francigeni camminano appaiati poi, ad una rotonda, si separano nuovamente.
Noi proseguiamo per un bel sentiero che segue morbidamente il Ticino, un fiume a fine corsa, destinato, di lì a breve, ad unirsi indissolubilmente al Po.
Arriviamo al ponte della Becca e, prima di attraversarlo, facciamo una sosta in un baretto proprio sulla riva del fiume poi, dopo aver salito una scaletta semisepolta dalla vegetazione e aver scavalcato un guardrail molto alto ci troviamo davanti ad una delle prove di coraggio più note.del nord-ovest, attraversare questo ponte di ferro datato 1912  e lungo un km. a piedi. Detta così sembra semplice ma non lo è: non esiste nemmeno lo straccio di una corsia laterale diciamo d'emergenza, le macchine si fanno beffa del limite imposto a 50 all'ora e spesso colui o colei che guida parla con noncuranza al cellulare (che se mi dessero la possibilità di fare le multe avrei fatto cassa per un anno).
Sono dieci minuti molto brutti, in cui camminiamo veloci e radenti alla struttura in ferro (cigolante assai) col cuore in gola.
Qui bisogna trovare urgentemente una soluzione, vero lo dico!!!
Quando arriviamo al di là del vecchio ponte tiriamo un bel sospiro di sollievo e ci immettiamo nella Ciclovia del Po, una mia vecchia conoscenza. Giuda già lancia bordate di calore e, come da prassi, l'ombra qui non è contemplata. 
Di fianco a noi campi coltivati a perdita d'occhio, qualche cascina e poco altro. Camminiamo spesso ad una certa distanza, vuoi per differenza di passo, vuoi per scelta; entrambi siamo in trance e alle prese con i nostri pensieri. 
Alle porte di Broni troviamo una piccola cappella dedicata alla Madonna di Pompei dotata di un paio di piccole panchine in pietra e finalmente ci concediamo una sosta che va oltre il semplice pit stop. Liberiamo i piedi e li facciamo respirare, beviamo e ci godiamo un po' di meritata ombra. Il fine tappa non è lontano, saranno circa 5 km ma il caldo si è fatto veramente infernale e mettere un passo dopo l'altro è veramente dura. 
Scavalcaviamo l'autostrada, entriamo in paese e una ragazza, alla quale chiediamo notizie di un eventuale bar, ha pietà di noi e :rientra in casa per riempirci le borracce di acqua fresca. Dio, o chi per lui, la benedica.
La salita a Colombarone è una direttissima infame che non fa sconti a nessuno, sale ripida di asfalto e poi di sterrato fino alla sommità del crinale, dove spiana e diventa carica d'ombra. 
Rivedo posti dove sono passato solo pochi giorni fa Camminando la Via Postumia e una strana sensazione mi prende, quella di essere in Cammino da una vita mentre sono solo 40 giorni.
C'è il tempo per bere qualcosa al bar del paese e prenotare per la cena poi via sotto la doccia. 
La prima è andata anche stavolta.


venerdì 9 giugno 2017

Intrrvallo


INTERVALLO

Oggi non si cammina, oggi riposo a Pavia. Da domani sarò in Cammino lungo la Via degli Abati (non mi faccio mancare nulla).
Ciao a tutti!!!

giovedì 8 giugno 2017

Quando un'avventura trova la sua conclusione


Trentasettesima tappa, Pontedecimo - Genova, 15 km.

Mi sveglio presto, più presto del previsto, sono le cinque e qualcosa di frenetico si agita dentro me, mi scuote, vuole che io mi alzi subito e faccia ciò che va fatto: tentare di ignorarlo è perfettamente inutile
Lo zaino è pronto da ieri sera per cui mangio i cornetti regalatimi ieri sera dal pasticciere viterbese e tifoso della Lazio (come il sottoscritto), bevo un caffè e poi affronto l'ultima salita.
La strada sale senza pietà fin dall'inizio; da sotto vedo uno dei forti lì in cima, la sua silhouette si staglia contro una quinta di luce creata dal sole che sta scavalcando i monti a est. Il primo sentiero che taglia un pezzo di asfalto non vuole essere da meno e sale ripido a gradini sconnessi e semi coperti dalla vegetazione; sbuffo un po'  ma continuo del mio passo, con regolarità. 
Quando esco nuovamente sull'asfalto sono oramai una maschera, è presto ma caldo e fatica mi hanno già trasformato nella zampillosa fontanella ambulante​ che sono per natura. Rifiato un po', il forte è un po' più vicino ma neanche tanto e la memoria va per un attimo alla torre di Radicofani, al suo essere sempre lontana e inafferrabile
Poche centinaia di metri e raggiungo una piccola chiesa dove un nuovo sentiero scende per poi risalire; è sempre in stile foresta amazzonica, faccio fatica e perdo anche un po' la pazienza: questa cosa che qui non si riesca proprio a tenere pulito un sentiero è una delusione.
Emergo nuovamente su asfalto ad un incrocio, pochi metri e un nuovo sentiero si dipana salendo rapidamente l'ultimo muro di bosco; un vento molto forte si è alzato e si insinua fra gli alberi portando un po' di refrigerio che, unito allo spianare del sentiero mi fa tornare il sorriso.
A togliermelo, quasi subito, è un verso, quello di un animale, qualcosa fra un ringhio e un rutto;  forse ci siamo, forse mamma cinghiala è venuta a reclamare il suo dazio di sangue ed io sono il prescelto: non aspetto che arrivi una risposta e accelero il passo percorrendo qualche centinaia di metri alla velocità della luce (o almeno a quella più veloce consentita dallo stretto sentierino. Quando esco dalla giungla la prima volta il panorama mi travolge: il centro di Genova ancora non lo vedo perché è nascosto dal secondo muro di bosco ma vedo il mare alla mia destra e le montagne tutto intorno. È un momento bellissimo, il cielo è pieno di linee bianche (ma non sono scie chimiche, per carità), il sole mi bacia con tenerezza e il vento mi schiaffeggia duramente: sono un essere piccolo piccolo preda assoluta degli elementi e va bene così.
Alla mia sinistra, in alto, c'è Forte Fratello Minore: lo vedo ma non è la mia meta per cui dopo aver fatto qualche foto e tirato un paio di sorsate dalla borraccia riparto veloce per aggirare in quota l'anfiteatro naturale in cui mi trovo.
Capisco che sono vicinissimo al crinale quando il vento torna nuovamente a strattonarmi, poi la vedo, dapprima nascosta fra gli alberi poi, quando esco sulla cresta, in tutta la sua magnificenza: Genova è ai miei piedi, laggiù, adagiata sul mare da un lato e dall'altro aggrappata alle montagne, con la sua storia e i suoi Carrugi che tanto mi affascinano.
Volevo fare un video scemo di quel momento e invece, mentre provo a farlo, le lacrime trovano la strada per uscire ed io rimango lì a guardare quello spettacolo meraviglioso con occhi velati di pianto.
Forte Puin è il primo che incontro, ci giro intorno trovando per un attimo riparo alle folate di vento dietro i suoi bastioni; poi viene Forte Sperone che si cela abilmente fra gli alberi e infine Forte Begato, dove la strada comincia a scendere ripida verso la Superba. Non ci vuole molto ad arrivare giù e poi a proseguire verso Piazza San Giorgio, il km 0 della Via Postumia, la fine definitiva di questa avventura. C'è gente, la città è piena di turisti e non c'è tempo per altre lacrime, quello è stato un momento intimo, da vivere più vicino al cielo, ora è tempo di bere, birra rossa, due.
Anche questo Cammino ha trovato, inevitabilmente, la sua conclusione come da copione; io sono pieno di nuova esperienza, di immagini, di sapori, di nuove amicizie, e di consapevolezza e credo possa considerarsi uno stato di grazia, quel bel momento che dura fino a quando capisci che il giorno seguente non metterai nuovamente un passo dopo l'altro lungo la stessa Via, ma, come direbbe il mio omonimo, Mr. Vitiello, va bene così.
Ciao Postumia, sei stata un bel percorso di vita: grazie!

mercoledì 7 giugno 2017

La penultima salita e la montagna stuprata


Trentaseiesima tappa, La Sereta - Pontedecimo, 22 km.

Una buona colazione può far iniziare la giornata nel migliore dei modi ma se alle dolcezze alimentari aggiungi quattro sane chiacchiere è anche meglio. Mi piange un po' il cuore a lasciare La Sereta perché quando ti trovi bene in un posto vorresti restarci il più possibile però c'è la penultima salita da fare, il Passo della Bocchetta attende ed è meglio non farlo aspettare.
Il cielo è di quell'azzurro che sa di trionfo ma non mi lascio sedurre e resto concentrato sui miei passi. 
Si sale subito poi la sterrata spiana e diventa morbido saliscendi nel bosco; lontano sento il fastidioso bip bip di un mezzo scavatore in azione che rovina, di più, devasta la bellissima quiete di queste montagne. Quando arrivo alle porte di Fraconalto mi rendo conto di quello che stanno facendo: oleodotto nuovo e nuovo passante alta velocità per treni merci (destinazione Alessandria). Sento la rabbia salire così giro le spalle, prendo il sentiero E1 che fino al passo si gemella con la Postumia e mi lascio tutto dietro. 
Sono un illuso, dopo i primi km di bosco quel fastidioso bip bip si ripropone e poco dopo vedo il macchina-mostro che lo produce, sta sradicando radici di alberi tagliati di fresco. Fa male a vedersi, riesco quasi a percepire l'eco del disperato urlo muto di quelle grosse piante che vivevano serene la loro esistenza da anni, immobili nel loro habitat naturale. Mi rendo conto di quanti ne abbiano estirpati poco dopo, quando E1 incontra una grande strada di terra dove passano i camion; non so se riesco a farvi capire quanto sia brutto veder passare un camion dove un tempo era solo bosco fitto. L'angoscia sale ancora di più e quando Bea mi chiama per il saluto mattutino gli descrivo la scena e scoppio in un pianto a dirotto. La montagna soffre, la montagna piange ed io con lei, non posso farne a meno. Sembra di essere in Avatar solo che qui le piante non hanno colori pazzeschi, sono solo alberi comuni, bellissimi alberi comuni.
Arrivo in prossimità del passo con gli occhi ancora umidi e la vista della vallata che corre fino al mare è un toccasana, mi da quel tot di gioia di cui ho bisogno per riequilibrare la mia emotività. 
Alla Bocchetta c'è una piccola area sosta con qualche tavolino e alcune panchine in pietra; scarico lo zaino e mi godo il panorama poi arriva Ginevra e tutto diventa divertente. È una grossa cagnolona, una barbonciona, se così si può dire e non vedeva l'ora di sgranchirsi le zampe; per farlo saltella come un cartone animato scuotendo il ciuffetto che ha in testa. All'inizio non mi da confidenza poi mano a mano si avvicina nei suo giri balzellanti e si fa accarezzare. Quando me ne vado inizia a seguirmi poi i padroni la richiamano e un amore si spezza prematuramente.
La discesa fino a Pietralavezzara è su asfalto tranquillo, qualche ciclista arranca spingendo sui pedali e passano un paio di macchine. Arrivo al borgo e, dopo un succo di frutta al bar, inizio a scendere il sentierino che dovrebbe portarmi a Isoverde ma dopo poche centinaia di metri torno indietro: è impraticabile, sommerso dalla vegetazione ed è un sentiero CAI. Ripenso alla salita da Aulla per arrivare a Sarzana e faccio dietro front; meglio la strada che precipitare a valle solo perché nessuno si prende la briga di pulire con regolarità un sentiero.
Scendo tranquillo su asfalto fino a Campomorone dove mi fermo per un pezzo di focaccia, poi continuo giù fino a Pontedecimo. Non è un bel camminare, fra camion, zone industriali, discariche ed altro ma si sa, entrare in una grande città...
Anche per oggi è finita, domani c'è l'ultima salita, poi finalmente potrò riabbracciare Genova, una città che amo.

martedì 6 giugno 2017

La stanchezza e il re di tutti i venti


Trentacinquesima tappa, Bosio - La Sereta, 23 km disumani.

Che sarebbe stata la tappa più dura dell'intera Via Postumia lo sapevo, quanto sarebbe stata dura non lo potevo neanche lontanamente immaginare.
Esco alle 6,30 e il cielo è sereno, come da previsioni meteo. Scendo le curve del paese, attraverso un torrente in secca e, fatti pochi passi mi confronto subito con la dura realtà: c'è da salire, una salita tosta. 
La carrareccia è a sassi sparsi, un tipo di superficie che detesto con tutto il cuore e anche con i piedi; va su senza mezzi termini, ripida e crudele e ogni tanto spiana per tre, quattro metri come se volesse dirmi "poteva essere cosi e invece hai voluto le montagne".
Quando arrivo in cima e scollino sono da strizzare; la maglietta è appiccicata alla pelle e se la stacco e poi la mollo lei torna subito ad aderire completamente al mio corpo. La bandana è già stata strizzata tre volte ma è di nuovo zuppa e ogni singola cellula della mia epidermide è sudata: fortunatamente la vista che mi si apre davanti è sublime e fa si che tutto il resto passi in secondo piano.
Per un po' cammino in piano e in leggero saliscendi, incrocio il cadavere di una Due Cavalli poi inizia la lunga discesa che mi porta ad incrociare una strada asfaltata seguendo la quale arrivo a Voltaggio. 
È un paese pieno di storia, rimasto immune al passare degli anni grazie alla sua posizione nascosta. Mi prendo un po' di tempo per camminare le sue stradine, visitare la chiesa e mangiare un paio di pezzi di focaccia con le cipolle poi mi rendo conto che le nuvole si stanno ammassando nonostante il vento soffi impetuoso e impietoso.
Mi rimetto lo zaino e scendo veloce verso il ponte romano dove faccio qualche foto prima di rimettermi in marcia.
Il seguito è una brutta storia di cielo nero,  passo sempre più veloce e salite assassine. Non me la godo per niente, l'imprevedibilità dell'appennino mi agita e mi costringe ad una lotta contro il tempo ma è tutta fuffa: quando scendo su asfalto a Chiappa prima e a Castagnola poi il cielo si è aperto nuovamente sparpagliando  le nuvole che ora corrono veloci come treni. 
I miei muscoli chiedono pietà e io li accontento, ma solo un po': se mi fermo adesso potrei non ripartire più. 
C'è ancora un bel po' di strada da fare, una lunga discesa fra paesaggi resi bellissimi dal riemerso sole, poi ci sono tre km di salita inaspettata per arrivare alla Sereta, un'accoglienza isolata  fra i monti e piena di pace. Il vento continua a soffiare forte verso nord. Ci deve essere un generatore di nuvole oltre quelle montagne, altrimenti non si spiega che, dopo due ore abbondanti di sonno, il cielo sia ancora coperto.
Mi sto preparando per una ricca cena in questo posto magnifico, le gambe fanno un po' giacomo giacomo, ma riuscirò a scendere le scale per andare a cena.
Domani Passo della Bocchetta e via in Liguria: Genova è ormai vicinissima.

lunedì 5 giugno 2017

Il bosco magico e i vecchi ricordi improvvisi


Trentaquattresima tappa, Stazzano - Bosio, 19 km.

Pioverà? Non pioverà? Il primo pensiero appena sveglio è questo. L'ho già detto, la meteorologia non è una scienza esatta, per questo si dice previsioni del tempo, perché tirano un po' a indovinare, sapendo che a volte basta un buon giro di vento per cambiare tutto; qui sull'appennino, poi, tutto è ancora più relativo, roba di microclimi a confronto e correnti imprevedibili.
Comunque quando esco (sono le 6,10) le nuvole e il cielo sgombro si equivalgono e io voglio pensare positivo.
Il borgo storico di Serravalle Scrivia, diviso da Stazzano solo da un ponte, è illuminato dai raggi radenti del nuovo sole che lo rendono suggestivo; lo stesso non si può dire della parte moderna del paese, discretamente raccapricciante. 
La abbandono subito salendo il primo dislivello della giornata, niente di esagerato, 100 metri fino alla chiesetta di Montei dove  raggiungo il quinto km. La cappella è ovviamente chiusa ma anche da fuori ha un suo fascino grazie a un bel dipinto della Madonna con bambino. 
Pochi metri ancora sull'asfalto poi inizia la sterrata delle ginestre e camminare fra muri di giallo è un piacere per gli occhi.
La stradina, metro dopo metro, inizia a restringersi trasformandosi in un sentiero che abbandona i vigneti per addentrarsi in un fitto bosco oscuro. 
Tutto cambia, l'esterno perde in consistenza e in tangibilità, nuovi rumori prendono il posto dei precedenti e ci si addentra in una dimensione magica, in una realtà parallela.
Camminare in saliscendi con il terreno morbido del sottobosco è forse il mio modo preferito di mettere un passo dopo l'altro, mi ci abbandono totalmente e la memoria mi riporta immediatamente a due anni fa, alla Via Francigena e al passaggio che segue lo scollinamento della Cisa portando giù a Pontremoli. 
La sensazione base che provo attraversando un ambiente come questo è quella di una solitudine sana e in armonia con la natura, ma c'è anche qualcos'altro, una punta di timore; non so perché ma immagino di trovami di punto in bianco di fronte a un cinghiale, o peggio, davanti alla madre di tutti i cinghiali dell'universo: è un pensiero che cammina con me, ma che poi, fortunatamente, non trova riscontro nella realtà.
Vado avanti così per circa 4 km, poi il sentiero torna una sterrata e poco dopo si reimmette sull'asfalto e ci rimane fino all'ingresso a Gavi. 
È qui che il secondo ricordo mi passa improvvisamente nella testa: il mio amico Gregorio che viene a pranzo quando ero ancora a casa con i miei, una cosa di quasi trent'anni fa. Aveva portato una bottiglia di vino bianco, un Gavi di Gavi, e ci avevamo pasteggiato allegramente,  con grande​ soddisfazione di palato. È un ricordo così vivido che non lo posso tenere solo per me così prendo il telefono e chiamo il mio amico, amico ritrovato dopo qualche anno di dispersione e do uno scossone alla sua memoria creando un bel momento di condivisione; quando alla fine chiudo la chiamata faccio il mio ingresso in paese.
Il borgo è dominato dal grosso forte adagiato in cima al colle ed è pieno di vita; la chiesa di San Giacomo, che meritava una visita, come da copione è chiusa e a me di aspettare che apra per la messa delle 11,45  proprio non va: sono solo le 9,30. Faccio una breve sosta per bere qualcosa, liberare i piedi e fare un po' di selezione delle foto, poi è un refolo freddo a ricordarmi che ho ancora mezza tappa da fare: le nuvole si sono ammassate e fate scure e non è una cosa buona.
Riparto veloce, attraverso un ponte che non ha le sponde ma da cui si gode una visuale bellissima del borgo e del forte quindi mi rimetto nei campi. 
Si ricomincia a salire dolcemente, si passa davanti a veri e propri anfiteatri di vigneti e vedute dei monti che saranno il mio pane per i prossimi due giorni. Il cielo si fa color del piombo e quando sbuco di nuovo sull'asfalto alzo il ritmo e attraverso veloce le frazioni di Zerbetta e Cadimassa; Bosio è li, neanche a due km ed io accelero ancor di più, fino a sembrare un campione di marcia, uno alla Maurizio Damilano.
L'ultima salita, quella che conduce direttamente in paese, è brevissima ma intensa poi finalmente posso chiudere la tappa. 
Dormo in un posto bellissimo gestito da Paola, una donna interessante con cui rimango a parlare per più di un'ora passando dalla Val di Susa all'alimentazione senza soluzione di continuità. Un'accoglienza calorosa è spesso una vera manna per un viandante solitario perché è in grado di spezzare, per un attimo, il minimalismo che caratterizza il suo Cammino. Oggi è così, si parla e solo dopo vengono la doccia, il bucato e tutto il resto.
Domani tornerà il mood abituale, si salirà ancora, e sarà ancora più bello.

domenica 4 giugno 2017

La tappa veloce e le farfalle amiche


Trentatreesima tappa, Tortona - Stazzano, 31 km.

Ho tanti validi motivi per uscire presto stamattina: i 31 km, il caldo e la minaccia del temporale a metà mattinata. Alle 5,45 sono già per strada a camminare veloce spingendo sui bastoncini per darmi un ritmo baldanzoso. Tira un bel vento e, per la prima volta da giorni, sento qualcosa che si avvicina al freddo, l'aria di una mattina frizzante di aprile. Penso, per un attimo, all'eventualità di mettere il pile leggero ma appena abbandono l'abitato di Tortona e la calda luce mi abbraccia l'idea muore: il sole è sempre lui, quello della settimana appena finita e non vuole cedere il passo a nulla e nessuno.
Attraverso campi coltivati e solitarie stradine di campagna poi inizia la prima salita, quella verso Carbonara Scrivia, un nome che rievoca pranzi e cene recenti ma a quest'ora della domenica mattina sono aperti solo i chioschi delle colazioni fantastiche, quelle che possiamo solo sognare. Il comune è in un grosso torrione che domina la quiete del borgo ma oltre a quello non c'è nulla che possa giustificare una sosta per cui bevo un po' dalla mia borraccia rossa senza sfilarmi lo zaino e riparto veloce verso Spineto, l'altro Scrivia, anche lui solitario e silente.
Lo Scrivia è un fiume che nasce nei monti sopra Genova e che ha deciso di boicottare la discesa a mare trovando più interessante l'unirsi al Po. Un bene visto i problemi che ha la Città della Lanterna,, con i suoi fiumi interrati e non. Ma la Superba è ancora lontana e io mi devo muovere se voglio arrivarci.
Mi infilo in una bellissima sterrata di campagna che taglia in due un grosso pianoro in costa lasciandomi stupefatto, per la bellezza del luogo e per il fatto che, aspettandomi una salita, ho trovato una landa piatta.
A un certo punto succede una cosa strana: da un cespuglio che segue tutto il lato sinistro della sterrata si staccano delle farfalle, tante farfalle. Mi girano intorno mentre cammino e vanno a riposizionarsi al punto di partenza; ad ogni passo che faccio se ne staccano altre, ogni passo un nuovo stormo. Questa cosa va avanti per un centinaio di metri. Adoro le farfalle, ho di loro una visione particolare, legata ai cari estinti, alle loro anime trasmutate. Quando finisce il cespuglio e il circo volante cessa di esistere un vago senso di tristezza mi coglie, non totalmente impreparato: sapevo che sarebbe successo ma finché hanno volato per me, con me, sono state una bella compagnia, la migliore che si possa avere.
Il pianoro continua ad allungarsi davanti a me ed io camminerei così per ore, ma c'è la Strada dei Boschi da fare, e per arrivare a Giusulana, l'agglomerato umano più vicino, bisogna salire, salire, salire.
Lo faccio dolcemente e a passo sostenuto, ormai ho preso il ritmo e per fermarmi dovrebbero abbattermi a fucilate. Un falco decolla a pochi metri da me e riesco a cogliere il suo forte battere d'ali con cui si libra per poi lasciarsi andare alla corrente che lo porta su; il vento non ha smesso di soffiare e rinfresca il mio corpo sudato. Metto la bandana per tamponare la fronte madida e continuo, nuovamente in discesa verso Sardigliano, dove finalmente mi fermo per fare una sosta; c'è una panchina all'ombra, il cielo si è aperto ancora di più, il pericolo pioggia sembra definitivamente sventato e a fine tappa mancano solo 4 km. Mangio una barretta, bevo e parlo un po' con Bea al telefono.
Nella piazzetta fa bella mostra di se un ossimoro: due bandiere, quella americana e quella della pace, sventolano una accanto all'altra. C'è anche quella italiana ma è al centro e le altre due la coprono.
C'è da salire ancora, è l'ultimo strappo per oggi ma lo sento; il fisico provato comincia a lamentarsi ma quando si svalica dalla sommità c'è una vista sulle colline boscose che sa di Eden, non il cinema, l'altro: fa bene, fa si che la discesa sia veloce, che la fatica si ammansisca e che la tappa trovi velocemente la sua conclusione.
La doccia poi riesce a lenire ogni residuo dei dolori da stanchezza e io posso rilassarmi e anche essere un po' fiero di me.
Yeah up on the hill, up on the hill

sabato 3 giugno 2017

In Cammino col Quarto Stato


Trentaduesima tappa, Voghera - Tortona, 25 km.

I primi 9 km di oggi sono un lungo drittone campagnolo chiamato Via per Casalnoceto, una stradina a traffico 0 che conduce all'omonimo paesino. È lì che ho appuntamento con  Franco e Claudio, referente e suo delfino per la parte piemontese della Via Postumia. Mi bastano pochi minuti per ribattezzarli Gianni e Pinotto, si lanciano battutine a raffica ed io, l'avrete capito, in queste cose ci sguazzo. 
In pochi minuti di cammino scaliamo una collinetta che ci porta al Santuario della Fogliata, una piccola chiesa (chiusa) che affaccia sulla vallata e sui suoi vigneti. 
Si scende e si arriva a Volpedo città che ha dato i natali e ha raccolto tutta la vita di Giuseppe Pellizza, pittore divisionista morto suicida nel suo studio famosissimo per il suo quadro "Il Quarto Stato".
C'è la piazza dove fece posare i personaggi del dipinto e, in terra, tanti piccoli quadrati ricordano i posti assegnati ad ognuno di loro. C'è anche una bella meridiana e, come in tutto il paese, il cavalletto con una riproduzione del quadro. 
Ci prendiamo il tempo per bere un caffè (io faccio la mia succososta) e poi si riparte in salita; è una di quelle che non fa sconti a nessuno, dritta dritta fino al bel paesino di Monleale.
Di qui si va in leggero saliscendi fino al mini borgo fantasma di Magostino e poi fino a Berzano di Tortona dove facciamo una sosta in una delle accoglienze della Via, un posto molto bello. I due compari qui mi lasciano solo ed io proseguo in discesa verso la provinciale che attraverso in località Baracca. Il caldo è salito nuovamente in cattedra e mi aspetta sulla salitaccia per Sarezzano, piccolo borgo dove arrivo stremato ma non troppo: mi sorprendo io stesso della grinta che sto mettendo nelle lunghe salite che affronto, una cosa un po' inaspettata ma tutta roba buona in previsione delle prossime tappe e anche della Via degli Abati. 
Entro in una panetteria per chiedere del bar e ne esco con un trancio di pizza alle cipolle e tante belle chiacchiere con la titolare. Il bar è aperto e scatta, inesorabile, la seconda succososta con annessi piedi all'aria. 
Non manca molto al traguardo, si scende un po', si gira per i campi, si risale di una salita rovente ma breve fino al paese dall'incalzante nome di Vhó che io prendo come un incentivo al proseguire gagliardamente il mio Cammino e finalmente si scende dritti verso Tortona. 
Una doccia è proprio ciò che ci vuole per ritemprare corpo e spirito, poi ci sarà tempo per incontrare nuovamente Gianni e Pinotto e bere qualcosa insieme.
Domani si sale e sarà sempre un po' di più.

venerdì 2 giugno 2017

La porta per le montagne


Trentunesima tappa, Casteggio - Voghera, 20 km.

Quando metto il becco fuori di casa percepisco che qualcosa è cambiato: l'aria è quasi frizzantina. Forse si sono abbassate le minime, forse mi voglio illudere ma i primi km scorrono via tranquilli e sereni fra continui saliscendi. La luce, ancora sufficientemente radente, pennella le colline a vigneto di una luce surreale e le nuvole, accennate e striate, rendono il cielo una tela astratta. 
In fondo a una salita gli alberi creano un grosso arco naturale verde, una specie di grande porta magica almeno per come la vedo io che mi traghetta verso una nuova dimensione, quella del Piemonte e che mi ricorda tanto la porta della Francigena toscana, la stessa energia.
Continuo a salire e scendere e vedo colonne che ricordano partigiani uccisi vigliaccamente, piante al limite del biologicamente noto, lepri piccole e grossi rapaci e splendide rose che fanno da capofila ai filari: tutto bellissimo.
Dopo l'ennesima salita arrivo nel piccolo borgo di Torrazza Coste dove regna una gran quiete e sfilo lo zaino in attesa dell'apertura del baretto. Una signora che sta spazzando fra i tavoli esterni dell'osteria (appendice del baretto... o il contrario) mi parla del meteo e asserisce con fermezza che lì da loro non piove mai, ma proprio mai; le sorrido poi il bar apre e io mi gusto la mia seconda colazione.
Riparto in discesa verso Codevilla e passo davanti ad una minuscola chiesetta che ha, sulla facciata, un dipinto di San Rocco, col bordone, il cane e tutto il resto.
Poi ci sono rimasugli di saliscendi e si sbuca sulla ciclabile che porta in centro città. È lì che il dio del caldo, subdola creatura, mi aspetta con la sua faccia da Joker sbarellato; mi dice "ti sono mancato?" e poi funesta gli ultimi 5 km che mancano per entrare in città. 
Voghera non ha molto da offrire, Duomo a parte, ma un giro me lo faccio lo stesso, ovviamente dopo una sana doccia fresca.
Domani si va a Tortona, la porta ormai è stata attraversata e si può solo andare avanti.

giovedì 1 giugno 2017

Comincio ad essere un po' stanchino


Trentesima tappa, Monteguzzo - Casteggio, 20 km.

Anche oggi il caldo ha regnato indiscusso su tutto l'Oltrepò pavese, nonostante una leggera brezza e qualche pallida nuvola abbiano cercato di ostacolarlo. 
La calda cronaca.
Esco alle 6,30 dopo una bella colazione; il sole è ancora nascosto dalle colline sopra di me ma già illumina il bel castello di Cigognola lassù in alto: è la mia prima meta.
La salita è una creatura ingannevole, parte moderata e dolce regalando begli scorci a destra e a manca ma appena il sole fa capolino dal monte si incarognisce, si inalbera, si impenna e mi fa arrivare alle pendici del castello stremato e spompato. La maglietta è come uno straccio inzuppato, la bandana ha perso ogni parvenza di asciuttezza e io stesso sono madido. Fortunatamente l'ora presta fa si che nessuno assista a questo spettacolo pietoso.
Vago per la piazza scattando foto quasi a casaccio, poi mi ricordo gli otto chili che ho sulle spalle, sfilo lo zaino e mi accascio su una panchina: acqua, barretta, respiri profondi e tutto inizia a tornare alla normalità. Il castello è bello ma credo che la visita alle 7,30 non sia contemplata per cui, dopo un ultimo sorso al mio beverone integrante, mi rimetto in moto.
La discesa è bella, soprattutto la prima perché, si sa, scendere è peggio di salire, si scoprono muscoli insospettabili che, a lungo andare, mostrano il loro lato dolente.
Ma è ancora presto per tutto questo e i paesaggi mozzafiato sono un ottimo motivo di distrazione così come il venticello che soffia amabilmente.
La seconda salita mette le cose in chiaro: farà sempre più caldo e suderai sempre di più, non ti fare illusioni.
A Cassino Po la curva è a gomito e la strada punta dritto in alto, direzione Pecorara, più che un paese, un'assenza.
La discesa a Redavalle è da sogno e anche il paese è più consistente ma lo si sfiora appena e alla frazione dal nome bovino, Manzo,, i colli si schierano nuovamente di fronte a me e il passo si fa lento un'altra volta.
Seguo le frecce gialle fra sterrate che scalano le vigne e costeggiano case di campagna fino a guadagnarmi una stradina asfaltata che mi porta fino a Castello, una frazione dotata di grandi panorami e di tre abitanti parlanti dialetto incomprensibile. 
C'è una panchina davanti a un tabaccaio chiuso ormai da tempo, è il momento giusto per togliersi le scarpe, bere e consumare qualche mandorla e una pesca. Riesco anche a trovare un po' di rete per mandare i miei report agli amici di Radio Francigena e buttare un po' di foto nel pozzo dei social.

La discesa questa volte la sento, rallento un po' e faccio anche una sosta in cui i pensieri vagano senza meta e senza senso. È il suono di un clacson che mi riporta con i piedi per terra e vedo una macchina rossa che accosta: al volante c'è la Roby, referente di zona per la Via Postumia, che è venuta a rincuorarmi. 
Qualche chiacchiera, fissiamo per la cena e poi via, ognuno per la sua strada.
Arrivo in fondo e... indovinate un po' chi c'è? Emilia, ebbene si, proprio lei, la strada lunga; era dai tempi della Francigena che non la vedevo. La seguo per poco meno di un km poi la mollo al suo dritto destino: è una questione d'incompatibilità. 
L'ultima salita è la più docile ma anche la peggiore: il caldo è asfissiante e le poche nuvole si sono dileguate. 
Arrivo al borgo di Mairano che si rivela sorprendentemente carino e che meriterebbe una sosta ma voglio scendere e chiudere la tappa.
La direttissima per Casteggio si stende di fronte a me, mi tortura ben bene le coscie ma dopo una mezzora sono sotto la doccia.
The best is yet to come.