mercoledì 31 maggio 2017

L'Ottovolante (sali e scendi, scendi e sali)


Ventiseiesima tappa, Albereto - Monteguzzo, 25 km.

Sento la sua risata appena esco dall'Accoglienza; il gallo ha iniziato a cantare da poco ma lui si è alzato velocemente nel cielo e ride del mio tentativo di bruciarlo sul tempo (che poi come si fa a bruciare il sole, mah).
Ci sono delle nuvole però e giuro che io non c'entro niente, anche se una preghierina per averle ieri sera l'ho fatta. 
Comunque: il Luna Park è già aperto per cui faccio il biglietto per le montagne russe ed entro.
Sali e scendi, scendi e sali, un breve tratto in piano e poi di nuovo sali e scendi, scendi e sali: è questo il segreto di un buon ottovolante, tenere il passeggero sempre in tensione, non permettergli mai di tirare il fiato o di rilassarsi, soggiogarlo insomma.
Il giro inizia con una lunga discesa da Albereto, giù, senza mezze misure.
La vista è di quelle da sturbo e allieta assai il passeggero; i vigneti giocano a rincorrersi gli unì con gli altri, alberi solitari riempiono buchi qua e là e piccoli leprotti saltellano tutt'intorno. Sono quasi felice ma la prima salita mi cancella un po' il sorriso dalla faccia.
Il primo giro finisce a Ziano Piacentino, dentro un bar che mi rifornisce di succo di frutta, cornetto e caffellatte freddo. Neanche il tempo di assaporare il tutto che la giostra riparte; sali e scendi, scendi e sali, più e più volte, fino a Rovescala. 
Entro nel bar della piazza che sono da strizzare, chiedo un succo al mirtillo e l'acida signora mi attacca un pippone sul fatto che le confezioni sono da 24 e lei non ne vende 24, per cui non li ordina, cosa della quale a me non importa nulla, ho solo una sete da disperso nel deserto. Recupero un ACE, l'unico succo presente e mi siedo di fuori. Questa volta mi prendo un po' più di tempo e libero anche i piedi ma il giostraio è una creatura senza pietà, e poco dopo suona la campanella del "altro giro, altra corsa, tutti a bordo".
Sali e scendi, scendi e sali, e sali, e sali, e sali, e dannazione, questa salitaccia infame rasenta la verticalità. 
L'Ottovolante si ferma due, tre volte, fa fatica e tanta ma alla fine guadagna il centro di Montù Beccaria, piccolo borgo adagiato sul crinale. Entro nel bar, il mirtillo c'è e, come per ribadire che siamo nel piacentino, al posto delle classico "patatine-noccioline" c'è pane e salame che rendono la sosta assai più interessante. 
La giostra riparte per i suoi ultimi giri, scende, scende, scende fino a fondovalle e poi sale, sale, sale fino a Canneto Pavese. Sono al lumicino, bevo il  bevibile e abbandono l'ottovolante che ormai è un rottame. Da li a Colombarone è tutta sul crinale poi un'ultima salitina e di nuovo giù fino all'accoglienza. Una tappa incredibile, sotto tutti i punti di vista. Io, dopo la doccia,  non mi sono ancora alzato dal letto: l'ottovolante uccide.

martedì 30 maggio 2017

Chi lascia la pianura guadagna la vigna, chi resta in pianura boccheggia e ristagna.


Ventottesima tappa, Piacenza - Albereto, 30 km.

Quando abbandono l'ostello sono le 5,50 e il sole è sorto da poco. Uscire da una città non è mai facile, esattamente come entrarci e per lasciare Piacenza percorro  strade e stradine e poi una luuunga ciclabile che costeggia una strada trafficata. Le due, a braccetto, attraversano il Trebbia e lì si separano perché la strada tira dritta mentre io scendo sul lungofiume e comincio a seguirne il corso.
È un parco naturale ben organizzato con pannelli illustrativi e aree sosta. Sosta? Chi ha detto sosta? Non mi pongo troppo il problema e mi siedo su una panchina liberando i piedi per farli sgonfiare un po': comincia a far caldo e prevenire è meglio che curare.
Passo davanti a un idrante agricolo ma il getto è troppo lontano per sperare in una rinfrescatina così mi gusto solo gli arcobaleni. Poco più avanti una nutria grossa come un maiale mi vede, si spaventa e salta dal campo in cui stazionava serena tuffandosi nel canale di irrigazione lato strada creando un'onda anomala; il caldo in testa gioca brutti scherzi e io mi immagino l'onda crescere sempre più e devastare passo passo tutta la pianura e tutta la strada fatta finora, giù fino ad Aquileia.
È un trattore gigante a strapparmi dall'apocalittica visione dello tsunami padano: deve passare e io sono d'ingombro. 
Arrivo al paesino di Gragnano Trebbiense dove faccio la prima succososta, versione light della ormai celeberrima lemonsosta.
Trattasi di un succo di frutta, possibilmente al mirtillo, diluito sapientemente con acqua frizzante gelata: disseta come poche cose al mondo.
C'è un drittone di tre km su asfalto che taglierebbe le gambe anche al fondista più esperto poi si arriva a Campremoldo Sopra (!!!) e quindi a Mottazziana dove faccio la seconda succososta. Il sole picchia come un assassino incarognito e io sudo copiosamente, zampillo in ogni dove, bisogna reintegrare liquidi. 
Attorno a me campi, campi e solo campi, che siano di pomodori imberbi o di mais in fase di sviluppo ma il campo più strano è quello pieno di cipolle, estratte dal terreno e lasciate in fila a cuocersi al sole. Inspiegabile. 
Passo i paesi fantasma di Breno Sopra e Bilegno e in quest'ultimo mi fermo nuovamente, come se stessi percorrendo una via crucis; nel parchetto di fianco alla chiesa cresce un ciliegio ed è gonfio di frutti maturi, molti sono già caduti.
Sfrutto la mia altezza e aggancio i rami più alti cogliendo piu ciliegie che posso; sono succose e buonissime e rinfrancano spirito e corpo dandomi l'energia necessaria ad arrivare fino a Castelnuovo dove l'ultima succososta del giorno si compie. Il barista è un omone simpatico e io mi metto a raccontare della Postumia a lui e ad altri due interessati avventori
Manca poco a finire la tappa ma c'è da salire e il primo strappo, breve ma intenso, mi taglia un tantino le gambe. Pochi metri ancora e tutto cambia, il paesaggio si apre e la bellezza dei filari dei vigneti prende il sopravvento su tutto il resto, fatica e caldo compresi. Si alza anche un po' di vento ed è quello a farmi capire che la pianura è ormai alle spalle e da qui in poi nulla sarà più lo stesso. 
Il rush finale verso Albereto mi lascia un po' senza fiato ma ormai sono arrivato e posso rilassarmi: la doccia, una di quelle lunghe e a temperatura variabile, mi rimette al mondo così come l'acqua fresca e le ciliegie che mi vengono offerte in dono.
Sono felice, i muscoli dolgono un po' ma l'euforia, si sa, è l'antidolorifico più potente al mondo.





lunedì 29 maggio 2017

E infine ritornai a Piacenza


Ventisettesima tappa, Fossadello - Piacenza, 18 km.

La notte è calda, non come il giorno ovviamente, ma a sufficienza per farmi trovare il sonno tardi e per svegliarmi presto. 
Colazione alle 7,30 e alle 8 via di corsa: il sole è un velocista e per essere competitivi bisogna fregarlo sullo start e soprattutto non bisogna avere distrazioni.
"Guarda, c'è un albero di ciliegie" dice qualcuno ed abbiamo già perso la gara, ma almeno abbiamo la pancia piena (col benestare del contadino).
Proseguiamo fra argini e sterrate e sull'inossidabile ciclovia del Po, il cui asfalto raggiunge temperature da altoforno e crea una sorta di effetto miraggio in cui fontanelle zampillanti danzano all'orizzonte le loro follie acquatiche. 
C'è una minuscola cappella con dentro un bellissimo quadro della Madonna ed un rosario e due signore la stanno ripulendo a fondo perché nei prossimi giorni ci sarà una funzione. Solito giro di domande e risposte poi usciamo e c'è giusto il tempo di uscire che appare il vermone bianco veramente lungo, una creatura placida e amichevole che se ne sta sdraiata al sole occupando tutto il campo: farsi una foto abbracciato a lui è inevitabile. 
Continuiamo a camminare lungo il drittone rovente a capo chino cercando, senza successo, un modo per trasformare la mille e più parole della Roberta in aria fresca; fortunatamente incrociamo il micro paese di Mortizza e ci rintaniamo al fresco del suo bar. Via le scarpe e parte "el ritual", succo di frutta e acqua gassata a garganella. La tappa sarà anche breve ma si fa comunque fatica. 
Non manca molto alla meta, forse 8 km ma entrare in una città non è mai semplice e Piacenza non fa eccezione, anzi.  La ciclabile passa vicino alla zona industriale e dopo una mattina in mezzo ai campi e alla natura si fa fatica ad accettarlo. Di buono c'è che si sbuca proprio a due passi da Vittorio, il mio ristorante di fiducia in città dove voglio portare Roberta e Patrizia per pranzo. Questo è il regno indiscusso dei tre etti di pasta, dosaggio sotto il quale è vietato scendere, quindi astenersi spiluccatori, digiunisti e raffinati minimalisti del cibo.
Recuperate le forze accompagno le girls in stazione; sono stati due bei giorni, pieni di risate e di fatica, giorni condivisi in maniera profonda, da veri pellegrini. Ci abbracciamo forte prima di separarci, poi loro scendono il sottopasso della stazione e io trovo la via per l'ostello.
Da domani sarò di nuovo solo lungo la strada, ma in fondo soli non si è mai.

domenica 28 maggio 2017

Il solleone e le amiche pellegrine


Ventiseiesima tappa, Cremona - Fossadello, 28 km di caldo.

L'appuntamento è alle 7,30 alla stazione di Cremona, c'è un treno proveniente da Milano da cui scendono Roberta e Patrizia, pellegrine, si, ma prima ancora amiche.
Saranno le Andy's Angels per due giorni e mi scorteranno fino a Piacenza.
Alle 8,00 precise ci mettiamo in marcia e zigzagando fra le stradine di una Cremona ancora assopita guadagniamo il Po e, attraversandolo, abbandoniamo la Lombardia per passare in Emilia.
Non c'è alcuna nuvola nel cielo, e il meteo... beh il meteo conviene lasciarlo perdere, certe volte è molto meglio non sapere.

Camminiamo lungo il Po, fra cavalli bianchi, leprotti, statue della Madonna del fiume e piccole casette di pescatori risistemate, quelle che qualcuno definirebbe cabin: una reclamizza salsicce roventi su un copertone dipinto di rosso, altre hanno dei dipinti sulle pareti e ce n'è addirittura una con una grezza riproduzione del Discobolo di Milone in giardino, roba da veri cultori kitsch.
Camminiamo tranquilli e sereni  fra le chiacchiere, i video scemi e le pause per cogliere e mangiare le more di gelso ma la prima sosta vera la facciamo a Monticelli d'Ongina. Bar, birra analcolica, frutta fresca e piedi all'aria, questo il menù; in paese c'è il mercato e ne approfitto per comprare la mia banana e due pesche. La rocca, bella ma chiusa (e non molto curata, ahimè) fa mostra di se al centro del paese ma noi sgusciamo via più veloci del vento e ricominciano a seguire il fiume, fra argini e ciclabili, alla perenne ricerca di un po' di ombra. La temperatura sale impietosa e ad ogni fontanella approfittiamo per bagnare il capo e riempire le borracce. Una la troviamo in un grosso prato dove persone senza zaino e fresche come rose si danno un gran da fare con barbecue e carni assortite: verrebbe voglia di mollare tutto ed elemosinare un paio di salsicce ma il pellegrino soffre e va avanti perché nutre lo spirito e non il corpo.... si però una salsiccetta.
Passiamo vicino alla centrale nucleare, fortunatamente inattiva, di Caorso, nascosta dagli alberi ma ancora intuibile nella forma circolare della sua torre. 
Un altro paio di km ed è di nuovo sosta time: i piedi bollono, la testa pure e ripariamo sotto un piccolo gazebo dotato di tavola panca e fontanella. Questa Volta ci stiamo di più, il caldo, 33°, è veramente insopportabile e sapere che mancano solo 3 km non é di nessun aiuto. Siamo stanchi e cotti dal sole, passiamo più volte teste e braccia sotto il fresco getto della fontana poi recuperiamo le ultime energie rimaste e colmiamo la distanza fra noi e la doccia. 
L'agriturismo è invaso da gente urlante in preda ad uno dei rituali più antichi ed inutili della storia dell'uomo: il pranzo della prima comunione e tutti ci guardano in modo strano quando facciamo il nostro ingresso nella struttura sudati e con gli zaini sulle spalle. Forse non ci capiscono, forse pensano che siamo pazzi ma la pazzia, si sa, è di gran lunga più interessante della ragione.
Ora doccia, cena poi ninne, domani si arriva a Piacenza.

venerdì 26 maggio 2017

Turòon, Turàs, Tetàs (o Tugnàs)


Venticinquesima tappa, Solarolo Monasterolo - Cremona, 33 km.

La meteorologia non é una scienza esatta e questo lo sapete tutti quanti, è più un "vediamo se oggi ci azzecco", if you know what i mean.
Esco alle 6,15 e il cielo è uno scuro strato uniforme, il sole, se c'è, è nascosto molto bene. Non posso chiedere di meglio, oggi i km sono tanti e il caldo, il mio peggior nemico, è stimato sui 31° ma forse si può andare al ribasso. 
La ciclabile è lì che mi aspetta, docile e navigata compagna; i campi attorno hanno quell'aria da risveglio che regala la luce radente del mattino (seppur velato) e pullulano di lepri a zonzo e uccelli mattinieri Tira una leggera brezza che accarezza la pelle e rende ogni passo una gioia.
A Isola Pescaroli (certo chi ha inventato tutti questi nomi...) c'è una vecchia diga e c'è anche un baretto ancorato alla riva del Po ma una volta salita la passerella scopro con amarezza che non sono interessati alle colazioni e che apriranno solo alle 10. Mestizia.
Ci sono altri 5 km da fare fino a Stagno Lombardo che è anche la metà della tappa per cui mi muovo veloce. 
Corro lungo il fiume per un po' poi devio sulla destra per ricongiungermi nuovamente alla ciclabile. Nell'aria c'è, pungente, odore di letame, di campi concimati, di fatica contadina e lungo la strada risuonano parole antiche come chiavica (o chiavicone) e budri (che sarebbero degli stagni); qui e là cascine enormi, con la grossa aia circondata e protetta dalle grosse mura e si vestono di nomi bizzarri. Mi piace tutto questo sapore rurale, è un gusto antico che noi di città abbiamo ormai perso ma che qui si trova con facilità, anche se le cascine sono mezze vuote e le bestie nell'aia non razzolano più.
Arrivo a Stagno Lombardo e trovo subito il bar; la signora è gentilissima e mi fa un tumbler grosso pieno di latte freddo e caffè, ma me lo fa pagare come quello piccolo. Lei sa già tutto della Via Postumia, Sara l'ha "indottrinata" bene quando è passata a segnare il percorso tempo fa: bene così, perché i bar sono il tam tam di una comunità, la voce del paese.
Carico di proteine animali riparto veloce; le nuvole, che lentamente si erano aperte sono scomparse e il sole ride di lassù anche se il vento è rimasto e carezza la pianura. 
C'è una buffa meridiana fuori dal paese, molto coreografica, poi sono solo campi, un lungo giro di campi fino al ricongiungimento col grande fiume. Da qui e per un bel pezzo camminare diventa una gioia: trattasi di bel sentierino ombreggiato, con saltuari tavolini da picnic e tantissimo silenzio, ci voleva proprio.
Alla fine c'è anche un bar osteria dove mi rifocillo con l'ormai tradizionale succo al mirtillo diluito con acqua frizzante.
Gli ultimi 4 km sono sotto il sole impietoso ma entrare a Cremona essendosela guadagnata con valore ha un gusto unico.
La città delle tre T, turòon, turàs, tetàs (torrone, Torrazzo, tettone... ma anche Tognazzi) mi accoglie a braccia aperte e io la ricambierò domani con una lunga giornata dedicata solo a lei: domani riposo.

giovedì 25 maggio 2017

Il vento caldo dell'estate mi sta portando via


Ventiquattresima tappa, Gussola - Solarolo Monasterolo, 18 km.

È il giorno della tappa breve e dovrebbe essere quello del poco o niente e invece...
Faccio colazione un po' piu tardi visto l'esiguità dei km e me la prendo comoda; il cielo è nuvoloso ma già si capisce che tenderà ad aprirsi anche senza spacca-nuvole. 
Si riparte dalla ciclabile, lì dove si era lasciato, ma la si abbandona quasi subito; una sterrata scende alla sinistra dell'argine e mi proietta fra i campi. 
La macchina fotografica scatta a raffica, giochi geometrici di giovani coltivazioni, alberi isolati e tanta, tantissima camomilla spontanea.
Riguadagno la ciclabile e poco dopo entro nel paesino di Torricella del Pizzo per un richiamo di colazione. La ragazza del bar fa subito domande e io seguo il copione raccontando della Postumia, dei pellegrini in aumento e di tutto il resto mentre sorseggio caffellatte freddo e mangio un bombolone (non ho resistito). Torno a camminare di slancio seguendo diligentemente la ciclabile e dopo qualche km mi sorpassano, in gran velocità, due pattinatori, allineati e in sincrono come majorettes; poco dopo li vedo tornare insieme a dei ciclisti: lui guida il plotone, lei è posizionata al centro del gruppo. Già mi immagino di vederli tornare ancora con qualche runner al seguito, e poi nuovamente con la squadra locale di corsa coi sacchi ma una freccia gialla mi rimanda giù dalla sommità dell'argine.
Attraverso un minuscolo boschetto poi sono di nuovo fra il frumento, il pannocchiame, e tutto il resto. Il cielo si è aperto un po' e le nuvole si muovono lente, punteggiando la pianura di larghi coni d'ombra e io perdo la testa, almeno dal punto di vista fotografico. Non manca molto a chiudere la tappa ma rallento ancora i miei passi, fermandoli addirittura per mangiare la banana, ma il paese è lì, a due passi, vedo il campanile della chiesa emergere dalla vegetazione. Prima dell'ostello però ci scappa un'occhiata alla Cascina Stanga Maggi, un complesso rurale del 1700: il suo ingresso, di un  arancione acceso, è sormontato da una guglia con tanto di avvoltoio in cima e ha grosse rose colorate a fare da contorno.
Veramente un bel luogo.
L'ostello è tutto mio, sono l'unico ospite; metto su una lavatrice (in fase centrifuga mentre scrivo) e mangio il pasto dell'uomo solo: tonno, fagioli e cipolla, con tanto pepe.
Per tutto il resto c'è tempo.

mercoledì 24 maggio 2017

Chi si rivede, il Po


Ventitreesima tappa, Breda Azzolini - Gussola, 25 km.

La colazione all'ostello è autogestita per cui alle 6,15 sono già lì che trangugio il mio mezzo litro di latte con biscotti e cornetto; non ci vuole molto e alle 6,45 sono già per strada. Il cielo è velato, il sole si nasconde ed io, dopo il caldo patito ieri, non posso che gioire. Passo un primo paesino come se non esistesse, seguo canali e sterrate che si inseguono zigzagando per la pianura fino ad incontrare un bel tabernacolo incorniciato di splendide rose rosse: una sosta è d'obbligo.
Un'altra manciata di km e scorgo le mura di Sabbioneta, piccola perla del mantovano, patrimonio dell'Unesco e luogo di transito del 45° parallelo. 
Ci giro intorno fotografando come un invasato perché, si sa, i muraglioni e i fossati mi garbano assai, poi attraverso ponte e Porta Imperiale ed entro. 
Se ripenso al traffico di Cittadella mi sento male, qui invece è quasi tutto pedonale, lo so perché non ho usato i marciapiedi... cosa che del resto faccio raramente.
Il borgo è molto bello, palazzi storici, chiese, una sinagoga, e la piazza del municipio invasa dal mercato. Ne approfitto per comprare due pesche e una banana poi attraverso Porta Vittoria e abbandono Sabbioneta al suo destino.  
Si prosegue per campi e il fatto che il cielo sia rimasto velato rende i passi più piacevoli; una freccia gialla mi ricorda che a Genova mancano ancora 357 km ma io alla distanza dalla meta non ci penso, voglio dire, non ci ho pensato fino ad ora perché dovrei cominciare a farlo adesso. Accarezzo la freccia e tiro dritto, fino a sbucare nuovamente su strada. Poche centinaia di metri davanti a me si distingue il campanile di una chiesa, il Santuario della Beata Vergine della Fontana. Entro in punta dei piedi perché c'è gente seduta sui primi banchi della navata e scopro subito che in questo luogo un po' sperduto è sepolto nientepopodimeno che il Parmigianino, e che inoltre, su una parete, c'è un affresco che ritrae Giovanna d'Arco, il primo ritratto italiano della pulzella d'Orléans. 
Parlo con un frate e gli chiedo se può mettere il suo timbro sulla mia credenziale; lui non se lo fa ripetere due volte e mi regala anche una piccola guida del Santuario. La messa inizia e io tolgo il disturbo, dirigendomi di gran lena verso l'abitato di Casalmaggiore. 
Anche questo paese ha il suo fascino, la piazza del comune, lunga e pavimentata in bianco è un gioiellino ma non regge il confronto con la fortificata Sabbioneta. 
Attraverso velocemente il paese, faccio una breve salitella e toh, chi si rivede, il Po. Lui, come da tradizione non da troppa confidenza, continua a scorrere lento e inesorabile ma secondo me è contento di rivedermi.
Lo seguo, controcorrente, per un bel pezzo ma i tempi delle ciclabili infuocate sono lontani, qui si sta al sicuro sotto l'ombra degli alberi e c'è un silenzio così profondo e armonioso che verrebbe voglia di sdraiarsi in una delle tante pioppete che si costeggiano e lasciarsi cullare in un sonno ristoratore ma Gussola è vicina e il sole alfine ha trovato il modo di venir fuori: time to go. 
Sono 4 km di sterrata poi mi ricongiungo con la ciclabile e poco dopo entro in paese.
La stanza del b&b dove dormo e una d'altri tempi, con il letto altissimo e la testiera dipinta. Lo assaggio subito e lo trovo molto comodo. Ne approfitto per mandare i commenti finali ai ragazzi di Radio Francigena e poi via, sotto la doccia.
Anche questa è andata, Genova arrivooooo.

martedì 23 maggio 2017

Quelle volte che non si arriva mai: il conta-millimetri


Ventiduesima tappa, Scorzarolo - Breda Azzolini, 32 km.

Avete presente cosa vuol dire non arrivare mai? Se avete fatto la tappa di Radicofani sulla Francigena sapete di cosa parlo, per gli altri immaginate che vi scappi tantissimo la pipì e che casa sia ancora molto lontana. Ma andiamo con ordine.
Mi sveglio col canto del gallo che è sempre una cosa bella quando si è in Cammino ed esco alle 7,15, dopo la ricca colazione, comprensiva di uovo d'oca (sodo), e del caloroso abbraccio di Farida. 
Riguadagno la ciclabile e mi metto in marcia a passo lesto; il clima è ottimo e soffia anche una leggera brezza che non guasta. L'Oglio regala paesaggi meravigliosi, cielo ed alberi si riflettono radiosi sulle sue acque lente e c'è anche qualche capanno galleggiante giusto per gradire. Dall'altro lato campi striati di verde, alberi in fila indiana e l'inevitabile irrigatore pittore con i suoi vividi arcobaleni. Si attraversa una strada e sull'altro lato l'asfalto si trasforma in sterrata e si comincia a camminare meglio. La penna bianca e marrone la trovo quasi subito e, dopo averla raccolta, la sistemo sulla bandana diventando immediatamente Quaglia Pazza, grande capo della tribù dei Piedi Gonfi; camminare come un eroico nativo americano da una carica in più.

Non ho intenzione di fermarmi spesso, voglio cercare di arrivare presto a Marcaria, ventesimo km e punto rifornimento per la cena. Faccio solo una sosta ai 17, San Michele in bosco, minuscolo borgo lungo la via. So che c'è un baretto e questo è proprio il momento giusto per un succo di frutta e una levata di scarpe. Per raggiungere il ristoro passo davanti alla chiesa dove é appena terminato un funerale; sembra ci sia tutto il paese a rendere omaggio al defunto. 
Bevo il succo d'arancia e l'acqua con le bollicine all'ombra di un gazebo; in queste tre ore la temperatura è salita parecchio e un po' di ombra ci vuole. È una pausa breve, deve esserla perché da queste parti i negozi hanno la tendenza a chiudersi presto e non voglio​ rischiare il desinare. 
Brucio i tre km che mi dividono da Marcaria ed entro in paese alle 12 spaccate: un ottimo tempo. Mi metto subito alla ricerca di un alimentari e a indicarmi la giusta direzione è la padrona di un simpatico cagnolino che non vuole smettere di leccarmi le caviglie. Entro nel negozio e la donnina dietro al bancone, vedendomi, ha un sussulto; io di tutta risposta alzo la mano e dico Augh!!! Devo essere divertente perché lei ride e,  mentre mi mostra il pane e inizia ad affettare il culatello entra in confidenza e comincia a chiedermi informazioni sul percorso e anche sui perché e sui percome. Parlare alle persone che abitano i piccoli paesi toccati dal Cammino è importante, gli mostra ciò che avviene davanti ai loro occhi e sulle loro strade e comincia a renderli partecipi, in un modo o nell'altro: inizia tutto così.
Infilo la spesa nello zaino, saluto la sorridente donnina e riparto, sempre con la mia piuma dritta in testa.
Lo stillicidio dei km inizia appena attraversato il ponte sull'Oglio: il caldo è aumentato parecchio. Mi ributto sulla sterrata a destra e proseguo fino ad abbandonare il fiume al suo corso e a incontrare nuovamente la strada proprio alle porte di San Martino dall'Argine, drittone in forma di paese. Mancano più o meno 6 km, poca roba, poco più di un'ora ma il fisico non è più quello di una volta, di sicuro non é più quello di stamattina. 
Sono di nuovo fra i campi, su sterrate e strade bianche, cercando di sfruttare ogni singola ombra gettata da qualche albero pietoso; il conteggio del "quanto manca​" si è settato sui metri e quando lambisco Spineda passa ai decimetri per scalare ancora in centimetri dopo la mini sosta in un tabernacolo dotato di portico dove mangio la banana e bevo un po d'acqua. 
C'è un un pezzo di strada bianca molto ostile e dura sotto le suole, dotata di serre che fungono da bocchettoni d'aria calda tipo degli enormi asciugacapelli, una cosa da film dell'orrore o da film biblico, piaghe d'Egitto style. Poi c'è l'ultimo drittone per arrivare  all'ostello dove conto ogni singolo millimetro che copro. Non ce la faccio più, sono esausto, la mia pelle tutta reclama a gran voce una doccia che è esattamente quello che faccio appena entro nella mia stanza. 
Padana, anche stavolta ho vinto io.

lunedì 22 maggio 2017

Il Po pollinoso e la fattoria urlante


Ventunesima tappa, Mantova - Scorzarolo, 26 km.

Faccio il vago mentre esco da una Mantova ancora sonnacchiosa in cui tutto deve ancora mettersi in moto, tutto tranne le mie gambe che già trottano di gran lena.
Faccio il vago anche dopo aver camminato lungo tutto il lago nel lussureggiante bosco, dopo averlo visto ritornare fiume ed averlo abbandonato al suo destino.
Faccio il vago quando passo per Aldes, l'odierna Pietole che diede i natali al sommo vate.
Faccio il vago fino a San Cataldo, microscopico paese dotato di bar, dove sosto una ventina di minuti con i piedi all'aria e in mano un succo di mirtillo. 
Riesco a fare il vago per altri due, forse tre km ma quando alfine giungo alla ciclovia che costeggia il Po non posso più non ammetterlo: fa caldo, un caldo infame, infame perso.
Certo, il Po è sempre il re dei fiumi italiani, anche quando è pieno di una schiuma fatta di pollini galleggianti diretti al mare, e guardarlo scorrere lento è un vero piacere ma non porta alcun refrigerio e quindi, allo stato attuale delle cose, vale poco. 
Sono più o meno a metà tappa e non c'è alternativa se non quella di andare. 
L'asfalto è una brutta bestia, ti consuma le suole e ti indolenzisce i piedi; quando arrivo a Borgoforte non ne posso già più. L'ombra è un concetto sconosciuto su questa strada eppure basterebbe camminare oltre l'argine, giù, fra gli alberi per avere un po' di refrigerio ma purtroppo ho dimenticato a casa il macete e non si può​ fare. 
Lo sguardo è basso, il ritmo costante e ipnotico ed è così che la testa se ne parte per la tangente iniziando a mettermi in bocca una sequenza di stupide canzonacce che canto con convinzione e a squarciagola. 
I km scorrono lentamente uno dopo l'altro, fra visioni stile fata morgana e improvvise illuminazioni  di origine psichedelica: un mix pericolosissimo.
Quando arrivo a Scorzarolo e scendo dalla ciclabile sono uno zombie sudato e privo di morale: straparlo (ovviamente da solo).
In paese non c'è nulla, nemmeno un bar ma fa bella mostra di se una fontanella sorvegliata da due panchine: mollo zaino, macchina fotografica e tutto il resto e, prima ancora di bere, metto la testa sotto il fresco getto d'acqua ed è come se venissi al mondo una seconda volta.

La fattoria dove dormo è a un tiro di schioppo e mi rendo subito conto che sarà una bella accoglienza. Farida, donna tartara, mi accoglie e mi abbraccia come il figliol prodigo mentre il cane mi fa le feste e mi lecca le mani.
Ora sono sul letto, docciato e riposato e mentre scrivo tutti gli animali lì fuori, asini, oche, pecore, galli e galline urlano la loro gioia di sapermi li con loro: la fattoria diventa una cassa armonica e tutto è subito inno alla natura, fragoroso e magico. 
Come cantavano gli Housemartins? Me and the Farmer get on fine 

domenica 21 maggio 2017

Io e i Gonzaga, la prima volta


Ventesima tappa, Rivalta sul Mincio - Mantova, 15 km.

Non ho molta da dirvi oggi, la tappa è stata assai breve ma qualcosina da raccontare ce l'ho.
Esco da Rivalta presto e, si sa, alle ore preste i piccoli borghi sembrano piu dei paesi fantasma. 
Seguo la ciclabile a bordo strada fino a quando non arrivo ad una curva dove un grosso cartello dice Grazie. "Prego" faccio io e mi accomodo.
C'è una chiesa veramente strana qui, piena di cose bizzarre: è il santuario della Beata Vergine. Cominciamo col dire che dal soffitto penzola un coccodrillo, uno vero; è impagliato e risulta innocuo ma sapere il perché sia lì inquieta non poco: secoli fa la chiesa identificava nei rettili e nei draghi (quelli di Harry Potter per capirci) il male e averne uno a mo di prigioniero, anche se imbalsamato, significava dominarlo. 
Non è tutto qui: le pareti, preziosamente intagliate nel legno, pullulano di tanti buffi manichini che rappresentano i peccati e le relative punizioni. Si chiude in bellezza con una bella serie di ex voto dipinti su legno le cui grazie ricevute fanno riferimento ai più bizzarri incidenti mai visti, almeno per l'epoca. Il tutto mi garba assai ma inizia la messa e abbandono Zi' prete e i fedeli alle loro preghiere.
Mantova é a soli 9 km e io smanio, per cui gambe in spalla e pedalare.
L'ingresso è da brivido, si cammina lungo l'argine del fiume fatto lago in un paesaggio da brivido. Decido di fermarmi su una panchina e riposare un secondo quando una donna mi si avvicina e mi chiede perché ho lo zaino più tutta un'altra sfilza di domande impertinenti. È solo il primo atto di uno scherzo ordito e attuato da due gaglioffi che rispondono al nome di Andrea e Sara. Andrea è l'inventore di questo percorso indi mio temporaneo demiurgo, Sara è la sua compagna pellegrina. 
La giornata cambia completamente faccia e fino alle 16,30 ho guide, coccolatori e narratori personali.  
Giriamo la città, mangiamo bene, ci adagiamo all'ombra degli alberi lungo il lago e parliamo, parliamo tanto ed è quello che ci voleva. Grazie (non quella del coccodrillo).

Non voglio parlarvi di Mantova, è una città che va scoperta e vissuta per cui vi faccio un invito al viaggio.
Ora sono qui, lungo il lago, ad aspettare il tramonto: la tappa breve è finita, domani si ricomincia a fare sul serio.
Keep on walking.

sabato 20 maggio 2017

River Mincio mon amour


Diciannovesima tappa, Monzambano - Rivalta sul mincio, 30 km.

La lunga distanza non si è fatta sentire oggi, sia per un dislivello praticamente inesistente che per le chiacchiere con Stefano, il mio accompagnatore per questa tappa ma la vera cura contro i km è stata sicuramente la bellezza del paesaggio.
La cronaca.
Partiamo presto; Stefano ha portato l'ombrello multiuso, parasole e parapioggia e l'ho preso, in entrambe i casi, come un simpatico amuleto.
Iniziamo a camminare lungo un canale poi c'é l'unica salita del giorno e a seguire l'unica discesa; il tutto fra bellissimi vigneti, che non é poco.
Inizia la pianura, una lunga distesa di campi che mi farà compagnia fino a Piacenza. È tutto uno scorrere di strade bianche e relativi canali di irrigazione, alcuni secchi, molti altri bagnati da chiare, fresche e dolci acque che verrebbe voglia di tuffarsi. O anche di fare surf quando la corrente corre.
Con noi cavalli, caprette, qualche cagnetto qua e là e anche un grosso lumacone marrone, un must di ogni Cammino che si rispetti. E poi ci sono quei fiori a pallettoni viola che sembrano venire dritti dritti da Pandora, se avete presente.
Attraversiamo piccoli agglomerati di case, ci sono gli immancabili papaveri e le inevitabili more di gelso, e delle buffe alghe da pozza fanghigliosa; continuiamo così e macinando chilometri e parole arriviamo ad abbracciare la star del giorno, il Mincio: l'estetica bucolica dei lirici latini è tutta qua, in bella vista.
È indubbiamente il luogo più adatto per un panino con finocchiona e grana.
Ce la prendiamo comoda, Goito è a due passi e sia l'entrata che l'uscita sono lungo il fiume, fra alberi misti, salici e sussurar di acque. C'è anche una famiglia di cigni, madre, padre e quattro batuffoli al seguito: se ci fosse un brano strappalacrime alla John Williams sarebbe perfetto. 
Ci sono quattro km di asfalto da fare per arrivare a fine tappa ma li bruciamo rapidamente perché quando sai che il traguardo è gagliardo vuoi arrivare subito.
A poche centinaia di metri da Rivalta sul Mincio veniamo affiancate da due arzille nonnette in bicicletta che vogliono sapere dove andiamo, da dove arriviamo e soprattutto se io sono tedesco; risponde Stefano in dialetto e da quel momento io non capisco più nulla ma mi godo la musicalità di quel dialogo, la sua armonia: ci sono dialetti duri e dialetti morbidi,  questo è di gommapiuma.
L'ostello di Rivalta sul Mincio è proprio sul Mincio, nel senso che affaccia sul fiume, diviso solo da un piccolo prato verde.
È una gioia scrivervi di oggi seduto su una panchina di pietra, davanti alle lente acque di questo bellissimo fiume.
Stefano torna a casa base, le strade si separano, almeno per un po'; domani sarò di nuovo in solitaria e le sue chiacchiere mi mancheranno.
Ora sta iniziando a piovere, oggi Giove è stato buono con noi: thank you boss.

venerdì 19 maggio 2017

Lago G e la pioggia annunciata


Diciottesima tappa, Pastrengo - Monzambano, 25 km.

Sono giorni che tutti mi dicono "venerdì piove" e quando stamattina apro le finestre e vedo le nuvole compatte penso "avete vinto voi".
Si però non piove ancora; è vero, non lascia presagire nulla di buono però....
Mi metto in marcia che sono le 8,00 in punto e inizio a zigzagare beato fra i vigneti e le rose che ne sorvegliano i filari. È un gran bel camminare, paesaggi intensi, zero calura, e tanto silenzio.
Si però....
Arrivo a Colá, un piccolo borgo arroccato con il suo castello, la sua chiesa con i cipressi e le belle casette in pietra. 
Il lago ancora non lo vedo nonostante sia ad uno, forse due km ma percepisco la sua grossa presenza.
Di nuovo giù fra le vigne e i campi di frumento in un paesaggio che più bucolico non si può.
Si, però....
Il silenzio viene improvvisamente rotto dal crescere costante di urla, risa e schiamazzi, poi musicaccia e ancora più urla. Ci siamo, il parco giochi è aperto e trabocca gioventù pronta a catafottersi da altezze vertiginose lungo montagne russe e altre diavolerie su binario: siamo a Gardaland.
Aggiro velocemente l'immenso luna park e in men che non si dica raggiungo la riva del grande lago, il lago della grande G, il Garda.
Non è la giornata migliore per gustarne la bellezza ma mi faccio bastare ciò che vedo camminando la sua riva fino a Peschiera. 
C'è anche il tempo per una sosta in cui bevo e sgranocchio due mandorle e un uccello mi caca prima sullo zaino e poi sul cappello. Riparto augurandogli di finire in un piatto con la polenta fumante.
Si però...
Peschiera è bella, con le sue fortificazioni, il porto e lo struscio dei turisti; perfino il sole sembra volerla benedire con qualche raggio. Esco per viuzze secondarie e a un certo punto sono di nuovo fra i vigneti.
Si però...
Faccio finta di non vedere quella specie di muro grigio che è diventato il cielo alla mia destra così come mi illudo che il vento sia un mio alleato pronto a spazzare via tutto il male, come un supereroe, come l'uomo tigre.
Accelero i passi più e più volte, salgo e scendo le collinette come un podista impazzito, mi do la carica da solo, ce la puoi fare, ce la puoi fare, ce la puoi fare.
Si però...
Scavallo l'ultimo dosso e le prime case di Ponti sul Mincio mi appaiono, colorate e in contrasto con il buio cupo del cielo.
Si però...
Passo la piazza
Si però...
Passo il castello.
Si però...
Faccio altri dieci passi e: vai con la tormenta !!!
Si però noi te l'avevamo detto che avrebbe piovuto.
Maledetti menagrami.
C'è la tenda di una bottega e proprio sotto, una panchina: la eleggo a mio riparo. Tiro fuori i sotto dei pantaloni e la mantella e come Superpippo con la nocciolina divento nuovamente lo Gnomone blu della Val di Susa. Quando mi incammino Giove pluvio percepisce la potenza del mitico Gnomone e chiude un po' i rubinetti; dopo altri dieci​ li chiude del tutto ed io posso fare il mio ingresso trionfale a Monzambano.
Fine tappa. Ora c'è il sole.

giovedì 18 maggio 2017

In simbiosi col fiume


Diciassettesima tappa, Verona - Pastrengo, 27 km.

Siamo i compari, i migliori amici, siamo un corpo e un'anima: l'Adige cammina con me e ormai sono tre giorni.
Subito dopo il Pognte Scaligero scendo sul suo argine e resto con lui per buona parte della tappa e lui che è un fiume riconoscente mi regalerà begli scorci e tanto silenzio.
Il clima è ottimale, cielo coperto, zero cado e si cammina con facilità; arrivo velocemente alla diga dove faccio una prima sosta poi, dopo aver incontrato un ragazzo con due cagnoloni bellissimi, tiro dritto fino ad arrivare ad uno dei punti più belli della tappa di oggi: un vecchio mulino dove fanno bella mostra di se due ponticelli medievali. 
Li cavalco poi continuo a camminare lungo l'alzaia, il lungo sentiero che costeggia il lato destro del fiume dove un tempo gli animali trascinavano, grazie a delle cime, le barche da trasporto per permettergli di risalire la corrente. 
Arrivo al piccolo paese di Pescantina quando il sole ha ormai vinto la sua battaglia con le nuvole. Incontro subito una piccola chiesetta sul cui portone è scolpito un bordone, l'antico bastone usato dai pellegrini durante la viandanza. 
Bevo qualcosa di fresco poi mi rimetto in moto, passo il ponte e risalgo la collina per arrivare a Bussolengo. Come da consuetudine c'è il mercato e il centro storico risulta invisibile. Sono in quota, quasi a fine tappa; da Bussolengo parte una ciclabile bellissima che costeggia un grosso canale e lo fa agghindata di cipressi e ricca di ciclisti. Io ho una corsia tutta per me, un avanzo di prato sulla destra e così mi risparmio l'asfalto. Arrivo ad un ponticello, le frecce mi indicano di girare ed è cos che abbandono il pianeggiante per la salita. È breve ma spietata ed è su acciottolato: trattasi del vecchio sentiero che portava su al santuario di Pastrengo. Arrivo in cima un po' provato ma la vista è bella assai. Qui ebbe luogo, il 30 aprile 1848, una famosa battaglia fra i Savoia e gli Austriaci di Radetzky, che per la cronaca vennero presi a calci nel posteriore grazie anche ad una storica carica dei carabinieri a cavallo. Di storico il paese non ha praticamente più nulla per cui tiro dritto verso l'accoglienza e chiudo la tappa; fa caldo e sogno la mia doccia fresca. 
E il tuo tuo compare? Il tuo miglior amico? L'Adige si era fatto troppo possessivo e allora l'ho mollato per sempre e domani lo tradirò con il Garda, il Lago di Garda.
Saludos.

mercoledì 17 maggio 2017

Postumio scaligero e i mille papaveri rossi


Sedicesima tappa, Mambrotta - Verona, 20 km.

Repetita non sempre iuvant e la prima parte della tappa odierna ne è la prova.
Dopo la ricca colazione abbandono l'alloggio e mi infilo nuovamente nella ciclabile infuocata, esattamente dove l'avevo lasciata ieri; lei non è cambiata, anzi, se possibile, si è fatta ancora più appiccicosa. 
Ce ne andiamo a braccetto per una decina di km e il caldo si unisce subito a noi: non ci facciamo mancare nulla. Ai lati le solite coltivazioni, i soliti filari velati; unico regalo un grosso idrante agricolo che sparge acqua e arcobaleni come un pittore di acquarelli. Purtroppo è lontano dalla Via, quindi irraggiungibile e il bis della doccia multipla francigena non ha luogo. Patimus.
All'undicesimo km tutto cambia, c'è il Bosco Buri e l'ombra elargita dai numerosi alberi diventa una solida realtà: pitstop.
Mancano otto km a Verona e nonostante  la ciclabile, dopo il bosco, torni a sprazzi assolata, si cammina bene, con brevi soste per le more di gelso ed una più lunga per un immenso campo di papaveri dove non farsi una foto sarebbe un delitto.
La città scaligera è lì, a un tiro di voce, e ci vuole veramente poco per guadagnare la doccia, poi dedico a Verona un po' del mio tempo. La cosa più bella è l'ultima, il togliersi i sandali e camminare a piedi nudi lungo i basolati della Via Postumia, quel poco che ne rimane. Le vibrazioni ancora una volta risalgono il mio corpo donandomi quel misto di euforia e commozione che è come una droga, che è quello che da motivo a tutto ciò. Domani ci saranno altri km da fare ma per ora mi godo questi dieci metri di storia.

martedì 16 maggio 2017

Niente di nuovo sotto il sole (e splash finale)


Quindicesima tappa, Gazzolo - Mambrotta, 26 shadowless km.

Non ci sarebbe molto da dire, basterebbe la parola "sole" ripetuta ciclicamente tipo mantra per sette ore, ma ci provo lo stesso.
Esco alle otto dopo una bella colazione e faccio rotta per Arcole. Qui Napoleone ci vinse una battaglia durata tre giorni nel novembre del 1796 e tutto lo ricorda: c'è il museo e c'è anche un obelisco con una grossa N proprio dopo il ponte dove ebbe luogo la pugna. Non c'è molto altro. Dall'obelisco parte la ciclabile che mi si appiccicherà come una cozza per tuto il giorno... o il contrario. 
All'inizio è sterrata e mi piace poi perde di fascino e diventa asfaltata. Segue il fiume Alpone per un po', poi, volubile com'è, cambia idea e comincia a seguire l'Adige e gli si affeziona parecchio perché non lo molla più. 
Sui lati si alternano vigne e prugneti coperti da teli, neri come tetri sudari. Non si attraversa nessun centro abitato, se ne lambiscono alcuni ma non c'è contatto il che vuol dire "no bar, no fontanelle". Il sole picchia pesante e non c'è nulla che faccia ombra, né alberi né case, nulla: è un'esposizione totale, definitiva. Vado in trance cercando di trovare nella concentrazione la forza di non sentire il sole ma tutto ciò che riesco ad ottenere è attirare le attenzioni di un nero serpentone di fiume che impavido mi viene incontro sinuoso per sterzare solo ad un metro da me, vinto dalla paura.
Ogni tanto un rumore alle mie spalle mi segnala il sopraggiungere di qualche ciclista che mi sorpassa e fila via veloce lasciandomi a rodermi d'invidia: comincio a non poterne più.
Supero un ponte e riprendo la ciclabile che torna ad essere sterrata e questo dona sollievo ai miei piedi ma decido comunque di alleggerirli ulteriormente passando dalla scarpa al sandalo. Sono due drittoni fino al ponte per Zevio e sul primo, forse grazie alle mie reiterate preghiere, una micro-nuvola si sistema proprio davanti al sole e me lo nasconde per dieci minuti abbondanti, come se si fosse fermata, come se il vento avesse spento il motore. 
Cambia tutto: i gradi in meno si sentono e il passo trova nuovamente vigore e c'è anche un leggero venticello ad impreziosire il tutto. Spesso però le cose belle durano poco e all'inizio del secondo drittone Puff, la nuvoletta cede di schianto e mi condanna nuovamente alla calura. 
Atraverso l'Adige per entrare a Zevio; è fuori percorso ma devo ricaricare la borraccia e riposare un po'. 
Il municipio è un castello su un'isola e nel fossato sguazzano cigni, germani e tantissime tartarughe. Oltre a questo e alla piazza non c'è molto da vedere e comunque non voglio perdere tempo prezioso: in me si è svegliato un ricordo, quello di una piscina, una piccola piscina nel b&b in cui dormirò. Mi rimetto sulla ciclabile e accelero il passo. 
Un vecchietto con dei capelli alla scienziato pazzo mi sorpassa in bici e mi da le direttive per raggiungere Mambrotta; si aggiunge un ragazzo (sempre in bici) che mi chiede dove vado e a risposta fa "io questa estate vado a Santiago". Provo a dirgli "parti da qui allora" ma lui è già lontano. 
Arrivo al b&b pochi minuti dopo e la piscina c'è; il proprietario dice che l'acqua è fredda ma non sa con chi ha a che fare. Infilo il costume e Splash, il bagno è servito, servito tre volte.
Ora si che il pellegrino è felice.

lunedì 15 maggio 2017

La Linea e i vigneti ovunque


Quattordicesima tappa, Brendola - Gazzolo, 25 km.

La colazione di stamattina è di quelle da ricordare per l'eternità: muesli croccante, yogurt, crostate e torte varie fatte in casa, cappuccio super, cornetti e, soprattutto, succo di fichi d'india: me ne sarei bevuto una damigiana.
C'è una linea netta nel cielo di stamattina, divide, senza mezzi termini, il grigio dall'azzurro, il male dal bene... che poi il cielo grigio così male non è, visto che anche oggi c'è un po' da salire e farlo al fresco, nel senso termico, è molto meglio.
Passo per campi coltivati, seguendo la silhouette dei colli alla mia sinistra poi, improvvisamente, sterzo e ci vado dritto incontro e la salita ha inizio: strada, poi sterrata, poi bosco melmoso e quando sbuco in località Grancona sono un bagno di sudore, ho faccia e braccia piene di stramaledette ragnatele e un cane inizia ad abbaiare da qualche parte e non la smette più. OM!!!
Da quassù la Linea si vede ancora meglio e all'orizzonte appaiono le creste delle montagne, nitide nella parte azzurra del mondo. 
La Via continua in docile saliscendi, costeggiando vigneti di ogni tipo e lo sguardo si perde in varie direzioni, tutte belle. C'è tempo a sufficienza per mangiare un cospicuo numero di more di gelso, cogliendole da un albero di cui nessuno, ahimè, si occupa; per terra è pieno di frutti caduti che io avrei trasformato in un'ottima marmellata.  
Faccio una sosta nel giardino di una birreria che, essendo lunedì, è chiusa e mi finisco le ciliegie dopo aver liberato i piedi. Sono lì che controllo le foto scattate e improvvisamente sento uno strano calore salirmi sul collo: mi giro e scopro che dietro di me il cielo si è frantumato, la linea ha ceduto e l'azzurro è esondato in ogni dove.
La discesa verso Lonigo è veloce e arrivo giù in un battibaleno; quando suono al monastero di San Daniele una voce oltre il citofono mi dice che i frati non ci sono (e dove saranno mai???) ma che se voglio​ posso mangiare alla mensa dei poveri fra un quarto d'ora. Spiego alla voce la cosa della banana e poi le chiedo se è possibile almeno mettere il timbro ma la voce risponde che anche questo non si può fare ma che se voglio posso mangiare alla mensa dei poveri. Preciso che non ho nulla contro i poveri ma che ho la mia banana e tanto mi basta poi me ne vado con le pive nel sacco. 
Il centro di Lonigo e assediato dal mercato settimanale ma sono in fase di sbaraccamento così mi siedo su una panchina, tolgo nuovamente le scarpe e consumo il mio minimo pasto.
È il tempo sufficiente a che quasi tutti i furgoni spariscano così quando riparto riesco a fare qualche foto.
Da lì in poi è tutto asfalto e sole a picco fino a Gazzolo, microscopico paese dove chiudo la tappa.
L'uomo cammina e la strada si riduce.

domenica 14 maggio 2017

Di caprioli, gelsi e amoli


Tredicesima tappa, Quinto Vicentino - Brendola, 30 km.

Il primo km me lo faccio da solo, dall'accoglienza al centro di Quinto Vicentino, dove ho appuntamento con Alessandro, referente di zona della Postumia. Partiamo veloci perché altre persone ci attendono sul ponte di Marola. La Via corre su una ciclabile sterrata che, attraversando campi e campagne, arriva proprio al meeting point. Il duo diventa quintetto con Monica, Veronica e Paolo.
C'è giusto il tempo di fare qualche km, vedere il primo capriolo, passare davanti ad un bellissimo mulino e siamo già a Vicenza, e ci siamo con uno scopo preciso, salire al Santuario di Monte Berico. 
Tagliamo per la prima rampa di scale e poi imbocchiamo il porticato che sale verso la chiesa regalando a chi lo percorre una prospettiva mozzafiato. La chiesa è piena, c'è la messa e noi entriamo in punta dei piedi, giusto il tempo di appoggiare la mano sul tondo argentato che raffigura la Madonna e sfiorarne la sacralità, poi via in sacrestia per un timbro sulla credenziale e le risposte di rito alle suorine curiose.
La strada scende ciò che aveva salito e lo fa su uno sterrato ombroso, una cosa buona e giusta visto che comincia a fare caldo, molto caldo. Sbuchiamo nei pressi dell'autostrada, ci passiamo sotto e poco dopo facciamo la meritata sosta nel chiostro di un santuario, con le chiappe sul marmo e i piedi all'aria. Paolo, il sant'uomo,  tira fuori dallo zaino una vaschetta piena zeppa di ciliegie buonissime che trangugiamo selvaggiamente alla ricerca del frutto perfetto (tutte scuse). Dura poco, dura sempre poco: dopo un caffè shakerato siamo di nuovo sulla strada ed ecco che appare il secondo capriolo: sembra che corra verso di noi ma in realtà vuole solo tagliarci la strada, guadagnare il bosco e l'invisibilità. Pochi minuti dopo inizia la salita infame e senza ombra.
La pendenza della strada è di quelle da gran premio della montagna e improvvisamente le parole si fanno sporadiche, poi più sporadivche ancora poi nulle; quando sbuchiamo a Valmarana la mia camicia è zuppa e la bandana anche peggio. C'è una bella vista e tira anche un po' di prezioso venticello e tiriamo un po' il fiato. 
Ci infiliamo nel bosco per continuare a salire leggermente; il Cammino è allietato dalle more di gelso e dagli amoli, piccole prugne tonde e acerbe, asprigne come una mela verde. 
Sbuchiamo infine a Brendola davanti alla sua chiesa dalla facciata sgargiante; c'è anche un'osteria che però non fa servizio bar e neanche ti vende una lattina (molto simpatici). Ma la tappa è agli sgoccioli, resta il tempo, per Alessandro, di dipingere un'ultima freccia gialla sul bordo di un marciapiede e poi arriviamo, tipo l'Armata Brancaleone, all'accoglienza dove è in corso il fine pranzo di comunione di qualche ragazzino. 
Ci guardano come degli alieni ma noi voliamo alto e, prese bibite e acqua, ci andiamo a sdraiare su un prato, lontano da tutti loro e all'ombra di piccoli alberi. Sono gli ultimi istanti di una bellissima giornata fatta di passi, di parole e di nuovi amici. Cosa chiedere di più.
Saludos amigos nuevos.

sabato 13 maggio 2017

La ferrovia fantasma e il sole a picco


Dodicesima tappa, Facca - Quinto Vicentino, 34 hotty km.

Già lo so, ci sarà il sole e farà caldo, non devo nemmeno aprire le finestre per averne la certezza,  si tratta di una certezza interiore, di quelle indiscutibili. 
La colazione è ricca e piena di cose buone. La Bicicletta (il b&b) mi ha accolto con affetto e calore, offrendomi chiacchiere e polpette di pesce ieri sera a cena, un bed molto comodo e poi questo popò di breakfast. 
Non "pubblicizzo" mai dove dormo o dove mangio, è un regola ferrea, ma questa è un'eccezione da fare. 
Oggi sarà quasi tutto asfalto, so anche questo e prima di uscire mi faccio un bel Ommm per prepararmi a livello psicologico.
Pronti, partenza, via!!! 
Le strade da percorrere sono veramente a traffico ridotto e si cammina bene, io tengo il passo veloce che non voglio fare tardi e quando improvvisamente la Brenta mi appare in tutto il suo splendore di pace ed acque lente ho già fatto 10 km.
La attraverso su un ponte cui hanno aggiunto una larga passerella ciclo pedonale e mentre la cammino mi torna in mente l'ingresso a Piacenza sulla Francigena, il ponte con i camion a un metro che ti risucchiano passando veloci: brrrr.
Passato il ponte faccio la prima sosta (in un baretto osteria dove, a senso, si mangia da paura) e anche una chiacchierata con un signore che mi racconta di tutte le bombe trovate nel fiume e altre amenità locali. Poi riparto di slancio e mi infilo subito lungo gli invisibili binari della ferrovia fantasma: la Treviso Ostiglia. È ben camuffata da ciclabile ombrosa e camminarci è una goduria; è un altro drittone su cui incontro ciclisti, giovani pattinatrici instabili, furbi contrabbandieri macedoni e corridori stravolti; c'è anche un quartetto equino che vorrebbe accodarsi alla mia passeggiata ma è costretto nel suo recinto: peccato.
Quando arrivo in fondo passo il ponte fantasma della ferrovia fantasma e mi immetto in uno sterrato lungo canale, molto bello ma privo d'ombra. Fino a Camisano Vicentino sono 7 km bollenti e quando arrivo sono cotto e stracotto. C'è una pizzeria chiusa e io occupo il suo tavolo fatto di bancali e mangio: panino e banana, il panino non lo finisco, la banana si. Tolgo anche le.scarpe perché i piedi urlano pietà, e io sono un tipo dal cuore d'oro. 
Mancano 9 km e ai 7 mi fermo nuovamente per un gelatino (cocco e amarena) e per riempire la vuota borraccia. 
Poi è di nuovo ciclabile sterrata e soleggiata; incontro una signora che mi chiede se sto andando a Santiago e io gli spiego della Postumia e del mio Cammino fino a Genova. Mi chiede consigli perché a luglio vuole partire per il Cammino Francese e io provo, inutilmente, a caldeggiare qualche Cammino italiano. Il tutto dura meno di tre minuti poi ognuno riparte per direzioni diverse. I km scalano uno dopo l'altro, la stanchezza si fa sentire e, dopo aver acquistato in un provvidenziale spaccio di latte pane e affettati per la tappa di domani, chiudo quella di oggi.  Gaudemus!!!
Domani si va a Brendola e ci saranno delle sorprese.
Hasta siempre!!!

venerdì 12 maggio 2017

Giro di guardia con rododendro


Undicesima tappa, Castelfranco Veneto - Facca, 23 km + 1,5 km di giro di guardia.

Ieri sera ho fatto tardi, molto tardi, almeno per gli standard pellegrini: le 00,24. Il fatto è che la presentazione alla Ubik è stata un gran successo e quando questo accade non ci si può esimere dal festeggiare in qualche bar.
Detto questo ho comunque aperto gli occhi alle 4,49 e che non sono normale lo so da me.
La tappa inizia bene: appena usciti da Castelfranco si imbocca il Sentiero degli Ezzelini che corre lungo il torrente Muson e lo fa con grande pace ed armonia, l'ennesimo tubone verde.
Quando arrivo a Castello di Godego sono fuori dal tunnel ma continuo a divertirmi zigzagando fra sterrate di campagna cosparse di papaveri e stradine deserte con tanti piccoli tabernacoli, dedicati perlopiù alla Madonna e a sant'Antonio da Padova.
Continua così fino a Galliera Veneta, picco paesino dove fa bella mostra di se un super casone, la Villa Imperiale che ospita, fra le altre cose, la biblioteca ed è circondata da un bellissimo parco. Non me lo faccio dire due volte, entro, trovo la panchina giusta e via le scarpe, via i calzini, piedi all'aria e sosta obbligata. Il tempo é bello, ci sono nuvole in abbondanza ma il sole la fa da padrone e fa anche caldo, per cui un po' d'ombra è proprio quello che ci vuole. Cittadella è vicina, non manca molto ed è lei oggi il piatto forte della tappa. Altri tre km di zig zag e finalmente vedo l'imponente cinta muraria e, con passo veloce e sicuro, l'attraverso.
Io brontolo, ormai dovreste saperlo, e spesso lo faccio a voce alta attirando l'attenzione: questo è uno di quei momenti. Per essere un paesino grande come uno sputo c'è il traffico di una metropoli all'ora di punta e i nervi mi saltano immediatamente con gran fragore di imprecazioni. Questa cittadina è un gioiello, un diamante sporco e per riportarlo alla sua brillantezza basterebbe fare una scelta coraggiosa e importante: pedonalizzare. Ma poi sai i bar, le gelaterie, i negozi, tutti a morire dalla paura di perdere il loro pulciosi soldi. Questo paese è schiavo del denaro e del proprio, piccolo orto ed è per questo, ed altri motivi, che la gente ha perso la percezione della bellezza dei luoghi in cui vive, è cieco davanti ai suoi stessi tesori. Salgo subito sulla cinta muraria, penso che forse da lassù tutto mi sembrerà migliore e il "rododendro" si calmerà ed in effetti è così.
Una ventina di metri a volte bastano a cambiare lo stato delle cose, ad attutire le brutture del mondo e a donare una prospettiva nuova, diversa: forse è per questo che amo così tanto la montagna, il suo distacco dall'umana bolgia.
Faccio tutto il giro di guardia, un km e mezzo in più sul tabellino di marcia ma ne vale veramente la pena poi scendo, un gelato al volo e sono on the road again come cantavano i Canned Heat. Fino a Facca sono altri tre km e me li mangio voracemente, nonostante il caldo.
Questa tappa è finita e domani è un altro giorno sulla strada.

giovedì 11 maggio 2017

Il bosco e la sentinella sottile


Decima tappa, Badoere - Castelfranco Veneto, 20 km

Quando apro le finestre della stanza un bel sole mi abbraccia subito, donandomi fiducia e regalandomi il sorriso. Faccio una colazione veloce veloce, chiudo lo zaino e poi via, verso una nuova tappa. Supero la rotonda e giro a destra passando nel backstage di cotanta piazza per poi cavalcare nuovamente il GiraSile. Ormai percorro questa lunga Ciclabile Verde da giorni, è la mia compagna fedele, il piacere dei miei piedi, linea sinuosa, traccia sicura. Oggi è un po' fangosetta, sarà che siamo vicini alla Porta d'acqua, dove questo strano e multiforme fiume nasce, saranno le piogge dei giorni passati ma i pantaloni, lavati di fresco a Venezia sono già pieni di mota. Non vi dico le scarpe. Me ne faccio una ragione e continuo serenamente, fino ad entrare in un'oasi naturalistica di rara bellezza, il Bosco dei Fontanassi. È una via di mezzo fra una foresta e una palude: tanti sono i canali che lo attraversano e alti gli alberi che lo nascondono al mondo esterno. Sono lì che mi beo di questo spettacolo quando sento un rumore di fronde scosse alle mie spalle, mi giro e lui è li, con la bocca aperta e i denti in bella vista: è un lupo cecoslovacco e il cuore mi sale fino in gola.
Improvvisamente una voce da qualche parte chiama il suo nome ma quello non si muove, anzi ne arriva un altro; io rimango immobile, fortunatamente i bastoncini sono appoggiati ad un albero e non innervosiscono i due canidi. Il nome del primo viene ripetuto, poi una seconda voce chiama quell'altro ed entrambi partono a razzo scomparendo così come erano arrivati: gaudemus!!!
Esco poco dopo dal bosco e mi incammino sull'ultimo tratto della Greenway; mi dispiace lasciarla, ci si camminava proprio bene: penso che dovrebbero esserci strade verdi del genere in tutta Italia, forse la gente lascerebbe più volentieri i motori puzzolenti a casa. 
Il tempo nel frattempo è peggiorato notevolmente, comincia a buttare giù qualche goccia di  pioggia ma sento che non durerà e, fedele a questa mia convinzione lascio la mantella ben chiusa nello zaino e proseguo così come sono: il meteo mi da ragione.
Poco prima di sbucare a San Marco, piccola frazione di Castelfranco passo davanti al monolite nero: è un albero bruciato, probabilmente da un fulmine, e, così annerito e reso sottile dal fuoco, sembra una sentinella triste del Cammino. 
San Marco è minuscolo e lo passo in un attimo, poi un paio di sterrati, due deserte stradine di campagna, un sottopassaggio pedonale ed eccomi al cartello di Castelfranco dove scatta il ritual-selfie. Le mura circondano un piccolo borgo fatto di cardo e decumano e poco altro. C'è un duomo da visitare, lo farò appena finita la fase relax e c'è anche una presentazione da fare alla Ubik e io non vedo l'ora. Domani si va a Facca via Cittadella e sarà un'altra gran bella tappa lungo la Via Postumia.
Besos a todos.

mercoledì 10 maggio 2017

Il drittone e la Rotonda


Nona tappa, Treviso - Badoere, 20 km.

Tappa facile, breve e quasi tutta in una bellissima ciclabile, ma andiamo con ordine.
Arrivo a Treviso e il cielo è color del piombo e tira un vento freddino assai. Mi incammino veloce seguendo la ferrovia e quando arrivo ad un passaggio a livello la attraverso lasciandomela alle spalle; cammino ancora un po' lungo una strada che, come tutte a Treviso e nella zona, sono decorate dal tricolore, in virtù della festa degli alpini che si terrà a breve, una cosa molto sentita.
Poco dopo attraverso un fiume su un ponticello pedonale ed è allora che inizio a camminare su di una bella sterrata ciclo pedonale. 
È un classico "drittone"; ormai avrete familiarizzato con questo termine che indica un rettifilo lungo parecchi km e senza nessuna curva. Camminarci sopra è un piacere, la vegetazione è rigogliosa e sembra di essere in un enorme tubone verde. C'è un po' di fanghiglia dovuta alle piogge dei giorni scorsi ma si va che è un piacere. Passo di fianco ad una fabbrica in disuso, i suoi capannoni sventrati contrastano brutalmente con il verde delle piante e soprattutto con la perfezione del praticello tosato di fresco che la circonda. 
Vado avanti tranquillamente, c'è gente che corre, che va in bici, che porta a spasso il cane e c'è anche un contadino che smette di curare il suo orto per osservarmi passare; lo saluto, lui ricambia poi mi chiede dove vado, io rispondo "a Genova" e lui, come molti altri nei giorni scorsi, strabuzza gli occhi e rimane con quell'espressione di sconcertato stupore sul viso. 
"Perché lo fai" mi chiedono in tanti ed io, che avendo del tempo risponderei parlando per ore, tiro fuori la frase standard, la ormai più che rodata regina della sintesi: perché mi fa stare bene.
Questa risposta sembra soddisfare tutti, perché il  tendere alla propria gioia e al proprio benessere fa sicuramente parte del sentire comune universale.
Continuo sul rettilineo verde e ad un certo punto mi ritrovo a passare vicino all'oasi naturalistica di Cervara, piena zeppa di gufi e cicogne ma, ahimè, aperta solo nel week end per cui rimango a secco di pennuti. Sul finire del drittone il sole, sollecitato dal mio Spaccanuvole, fa capolino e quando arrivo a Badoere  è ormai salito in cattedra, determinato a rimanerci. La Rotonda, la meravigliosa piazza a semicerchio con portici, si impreziosisce allora di giochi di luce ed ombra e io trovo il modo di impreziosire il mio misero pasto con un frappè di lampone e banana veramente notevole.  
Badoere è più o meno tutta qui, aggrappata alla sua storica piazza dove purtroppo le macchine parcheggiano selvagge decurtando il suo fascino di un buon 50%. 
L'italia è così, più o meno ovunque, incapace di comprendere la bellezza dei suoi luoghi e di rispettarli. 
È una vita amara.

martedì 9 maggio 2017

Oggi riposo.


Cartoline da Venezia

Il Sile e le barche morte


Ottava tappa, Quarto d'Altino - Treviso, 22 km.

Sono di nuovo a me stante, Giuseppe è tornato ai suoi impegni ed io ai miei passi solitari.
Quando esco la nebbia mi abbraccia stretto come una vecchia amica e mi tiene compagnia per un'ora buona, poi decide di dissolversi. Cammino lungo il Sile, poi su una lunga ciclabile bordo-strada che mi porta a Casale sul Sile e oltre per poi distaccarsi definitivamente dal rigido asfalto e raggiungere nuovamente il fiume; da qui in poi lo seguirà fino alla fine, fino ad entrare a Treviso.
Camminare seguendo le curve e le anse del Sile è quasi ipnotico, di sicuro è dolce e piacevole; i germani e tutti gli altri pennuti si scostano appena al mio passare certificando, se ce ne fosse bisogno, la serenità  del luogo.
Il placido camminare si interrompe brevemente nei pressi di una chiesetta per potere parlare con la banda di Radio Popolare e quella di Radio Francigena senza che si percepisca il respiro accelerato del pellegrino, poi riprende dolcemente. Il cielo é velato e la temperatura è ideale e quando arrivo nel minuscolo borgo di Casier è già ora pranzo, lo si capisce dai profumi che escono da un'osteria affacciata sul fiume. Io sgranocchio qualcosa e riparto veloce.
Quando arrivo ad una passerella che si allunga sopra il corso del Sile capisco di essere arrivato nel posto clou  della tappa, il Cimitero dei Burci.  Chi mi conosce sa della mia passione per i cimiteri monumentali ma qui siamo di fronte ad una cosa ben diversa: i burci sono barche.
Costruite larghe e a fondo piatto erano le tipiche imbarcazioni da trasporto fluviale, assai comuni in tutta la val padana.
Negli anni settanta, in questa ansa del fiume ne furono "parcheggiate" alcune, una prassi utilizzata anche per frigoriferi, materassi ed ogni altro genere di rifiuto ingombrante, tipica dell'italico popolo tutto.
Il tempo e la natura hanno lentamente spolpato quei relitti riducendoli all'osso e dando al luogo un aspetto lugubre ma estremamente affascinante. Ci passo un bel po' di tempo, a fare foto e sognare storie poi mi rimetto in cammino; mancano 5 km a fine tappa, time to go.
Entrare a piedi in una città non è mai semplice ma questa legge non vale per Treviso, non da questa parte almeno: la ciclabile arriva dritta fino alle mura guidata dal Sile fra gruppi di cigni, papere e mulini abbandonati (ahimè), il tutto in totale sicurezza. Ho un treno che mi aspetta, stanotte dormo a casa a Venezia e domani mi riposo: penso di meritarmelo.
Mercoledì si ricomincia. Daje !!!

domenica 7 maggio 2017

Fra barene e fiumi transgender


Settima tappa, Musile di Piave - Quarto d'Altino, 28 km.

Sarà stata la grande fatica dei 30 km, sarà stata la cena ricca e saporita, sarà stato il rumore della pioggia ma stanotte ho dormito di filato fino alle 6. Ci voleva.
Patrizia, la signora del B&B, ci ha preparato un'ottima colazione e mi ha anche risistemato la treccina che si era sciolta: un rituale che ha dato lo start alla giornata. 
Con Giuseppe al mio fianco riattraversiamo il paese e ci infiliamo subito fra campi con vigne alte e strani alberi da frutta che non riconosciamo (la botanica non è il nostro forte) poi cominciamo a costeggiare un lungo tratto del/della Piave. Ora, questa cosa che molti fiumi si possono chiamare col maschile o il femminile mi fa impazzire, é il trionfo del transgender idrico, fluido e sereno. 

Qui il peso della storia è forte, ci sono tabelle che raccontano i fatti della grande guerra, cippi che ne ricordano gli eroi e monumenti che ribadiscono il celeberrimo "di qui non si passa". Ora però passare é possibile, grazie a un ponte di barche che ci porta sull'altra sponda dove ci facciamo la prima sosta della giornata. Un bel cigno vanitoso dal centro del fiume si avvicina all'argine e si mette in posa per qualche foto. Lo assecondiamo.
Proseguiamo costeggiando il fiume  e a un certo punto veniamo raggiunti da un trio di ciclisti: li aspettavamo, sono pellegrini biruote che hanno percorso la Via Flavia ed ora scorrazzano e impazzano lungo la Postumia. Foto di rito, baci e abbracci e poi via di nuovo, a velocità diverse.
Un paio di km ancora e SBAM!!! La laguna ci colpisce con tutta la sua vastita e la sua bellezza. 
Le barene si allungano verso l'infinito e la Postumia, travestita da ciclabile nuova nuova, le tallona come un'amante gelosa che non vuole perderle di vista nemmeno un momento. Si va avanti così per nove meravigliosi km, con scorci sempre più belli e tanta, tantissima suggestione: la macchina fotografica non ne vuole sapere di star ferma, deve scattare, scattare, scattare. 
Assecondo anche lei.
Mi prendo qualche minuto per osservare una coraggiosa lumaca pellegrina attraversare la ciclabile e la proteggo negli ultimi cm del suo lento strisciare. 
Quando arriviamo in fondo al lungo "drittone" e salutiamo la laguna ci ricordiamo che è domenica e che anche il pellegrino ha diritto a godere delle gioie della vita, così entriamo in un ristorantino convenzionato e ci spariamo una mega frittura di pesce e due insalate al fresco di un giardino interno invidiabile. 
Da li a fine tappa mancano otto km ma, rinfrancati dal cibo e dalla sosta, li facciamo velocemente e facilmente: basta seguire il/la Sile che ci porta, zigzagando fluido, fino in paese. Qui la mia strada e quella di Giuseppe si dividono: lui torna col treno dalle parti di Conegliano e io mi infilo nel B&B e nella doccia. Una tappa bellissima, camminata con una persona fantastica, con un nuovo amico: grazie Scorpio Man, I'll see you soon!!!

sabato 6 maggio 2017

Giuseppe lo scorpione e la compagnia errante


Sesta tappa, Oderzo - Musile di Piave, 32 km.

Spalancare la finestra della camera da letto e con piacere vedere che c'è il sole, sentire una vocina dentro che dice "sporgiti un po' di più", farlo e notare con dispiacere che la nuvolaglia è alle tue spalle ma c'è, e c'è per restare.
Vabbè, chi se ne frega, tanto oggi cammino in compagnia.
Arrivo alla stazione di Oderzo e dopo cinque minuti​ un treno scarica sul binario 2 un omone pellegrino che risponde al nome di Giuseppe. Sarà lui a dividere con me la tappa di oggi e anche quella di domani. Ci troviamo subito, merito di quell'affinità elettiva che unisce i pellegrini e che rende tutte le differenze superabili...anche il suo essere scorpione...ops!.
Partiamo veloci, velocissimi: sulle ali delle chiacchiere facciamo due ore filate a passo sostenuto. C'è parecchio asfalto, sarà più o meno così fino a metà tappa, ma le macchine sono poche e, fra cagnolini abbaianti da dietro i cancelli, vigne di viti enormi e cappelli da alpino giganti sfioriamo Ponte di Piave e arriviamo a Noventa di Piave. Una sosta ci sta tutta. Il Piave è una presenza potente, tutto parla di lui del resto è un fiume che ha fatto la storia ed io non vedo l'ora di incontrarlo. Non ci vuole molto, pochi km di una bella ciclabile sterrata dove camminare è un sogno e si arriva al ponte di barche che ci permette di attraversare questo lento serpente d'acqua; il suo corpo fluido è colorato di bianco per i vaporosi pollini dei pioppi che scendono giù come fiocchi di neve, tutto molto bello.
Si affaccia un timido sole, e un po' di azzurro fa capolino fra le nuvole compatte. Mancano poco più di 6 km ma la stanchezza comincia a farsi sentire e le nostre conversazioni si riducono di intensità sfiorando il monosillabico. 
Tre "drittoni" su asfalto segnano gli ultimi tratti della tappa poi, finalmente, entriamo a Musile di Piave, in largo anticipo e con la gola secca. La sosta è d'obbligo, birra per lui, coca zero per me ma il posto è affascinante, trattasi di osteria vecchio stampo con i vecchietti che giocano a carte. Ci informiamo sulla cena e il menù che ci portano parla chiaro: 11€ primo, secondo e contorno e non vi dico i piatti perché sbavereste. Prenotiamo e poi via verso il B&B  dove ci accoglie Patrizia, più che una donna un mito che oltre a farci sentire a nostro agio trova anche il tempo di ricucirmi il marsupio esploso durante una sosta. Che dire, siamo stanchi ma felici, felici marci. 
Domani è un altro giorno, trullallà.