mercoledì 22 luglio 2015

Roma, li ricordi e er testimonium

Come è difficile scrivere questo post sapedo che sarà l'ultimo, chiudere questo diario, questo Cammino che per me hanno significato veramente tanto. Sarei un bugiardo se dicessi di non essere contento di aver finito, di non dover più caricarmi gli 8/9 chili di zaino sulla schiena ogni mattina ma è tipico mio provare quella sorta di malinconica euforia alla fine di un'esperienza profonda e coinvolgente come questa, la stessa che avevo prima di partire, ricordate? Solo che allora tutto doveva ancora succedere, era il futuro mentre oggi, da quando ho attraversato il colonnato del Bernini, tutti i ricordi, le storie, gli incontri di questa avventura si sono sistemati docilmente in una scatola del reparto "passato" dove resteranno tranquilli, a riposare, per esere tirati fuori ogni tanto, rispolverati e ricordati.
Non la voglio fare lunga e smielata per cui, sotto con la cronaca.
La Cassia è meno trafficata la mattina presto e riesce ad apparire come una strada normale. 
Ne percorro un tratto poi la abbandono per la più familiare Via Trionfale. Cammino con prudenza, i marciapiedi sono entità fluttuanti, appaiono e scompaiono ma quando sbuco all'altezza del vecchio manicomio di Santa Maria della Pietà il percorso si stabilizza, si trasforma in cittadino e tutto diventa più semplice, almeno dal punto di vista logistico. Si, perché da quello emotivo si complica assai: io da queste parti ci sono cresciuto, le ho bazzicate per lunghi anni e il Cammino, neanche a farlo apposta, passa davanti a tanti dei luoghi che hanno segnato la mia adolescenza.
Piazza Walter Rossi è uno di quelli.
Io nel 77 avevo 12 anni ma quella storia me la ricordo bene, come mi ricordo la chiesetta dove Aldo Moro si fermava sempre per la messa mattutina e dove doveva andare anche la mattina in cui fu rapito (via Fani è proprio lì dietro). Sono passato davanti a Via Trionfale 5697, la prima casa che io ricordi, quella dove sono cresciuto, e poi la pineta dove si andava a giocare, il bivio per Lo Zodiaco, il curvone panoramico dove si andava a pomiciare (che peraltro non esiste più),  il chiosco delle grattachecche della Sora Maria con il suo fenomenale lemoncocco, le case degli amici e i mille altri singoli posti a cui è legato un ricordo, una sensazione. Insomma, la Francigena in quest'ultima tappa è diventata una specie di Viale dei ricordi e questo non ha fatto che accrescere quel magone che da stamattina si stava formando dentro me.

Ho finito la discesa e ho imboccato via Leone IV fino a piazza risorgimento, poi dritto fino al colonnato e dentro Piazza San Pietro. Sono entrato in basilica quando pensavo che non l'avrei fatto, ci sono stato appena 10 minuti, il tempo di fare qualche foto perché il raccoglimento, lì dentro, è possibile solo a tarda notte, quando la chiesa è vuota. Poi la lunga trafila per entrare in vaticano: perquisizione, documenti e finalmente arrivo davanti ad una porta dove mi attende un segretario che controlla la mia credenziale e poi mi lasciia ad aspettare fuori.
Mi sento strano, credo che sia per il fatto che mi aspettavo un prete o un frate e che la cosa della pergamena sarebbe avvenuta sotto i miei occhi. Passano pochi minuti e il segretario riappare e prima mi mostra il timbro finale sulla credenziale, poi mi porge il Testimonium. C'è il mio nome sopra, lo guardo di sfuggita poi saluto il tpo, lo ringrazio e me ne vado. Il tempo di uscire sul piazzale e parte il pianto, liberatorio e irrefrenabile; guardo ancora la pergamena con il mio nome e gli occhi si appannano. 
Sembrerà strano, lo so, ma è stato piu forte di me e comunque non freno mai questi momenti, anzi, li lascio andare: piangere fa bene, è catartico, butta fuori attraverso le lacrime, la cosa più pura al mondo,  i malesseri, le tensioni, le negatività accumulate e può essere espressione di gioia, di piacere intenso. Le donne lo sanno molto bene, sono molto più sensibili e molto più avanti di noi maschietti in molti settori, compreso questo.
Badate bene, non c'è nulla di mistico o religioso in tutto ciò, è lo stesso pianto che feci anni fa quando, dopo solo 15 giorni di cammino lungo l'Offa's Dike Path (il confine fra Galles e Inghilterra), svuotai la boccetta di acqua marina riempita alla partenza dalla costa nord nel mare della costa sud, a sancire la fine di quel Cammino.
È come chiudere un cerchio, dichiarare a se stessi di aver fatto un buo lavoro, di averlo portato a termine nei tempi e modi pattuiti; è un bel flusso di energia inarrestabile che fortifica e gratifica ed è una cosa bellissima.

Sono andato a riprendere il mio documento e il commesso mi ha guardato con un'espressione sorpresa. "Mi scusi, mi sono commosso" gli ho detto fra i singhiozzi e lui mi ha sorriso rispondendomi che non dovevo preoccuparmi; mi piace pensare che nelle mie larime abbia intravisto un barlume di quel flusso che mi stava attraversando.
Mi sono seduto sotto il colonnato e ho telefonato a Bea perché nessuno meglio di lei poteva comprendere il mio stato d'animo; con un tono allegro e gioioso mi ha detto le parole che volevo sentirmi dire e la ringrazio immensamente per questo.
Vorrei ringraziare anche quelli che hanno interagito con me e con questo Cammino, seguendo il blog, spulciando le foto, lasciando commenti e, perché no, anche scrivendo stupidaggini. Sapervi attenti e vicini mi ha fatto sentire meno solo in questo lungo viaggio e ve ne sono debitore.
Ora è il momento di riposarsi, di assaporare la soddisfazione, poi verrà il momento di trascrivere su carta tutte le esperienze e i ricordi , finché sono ancora freschi, di cercare di creare un diario di viaggio che sappia raccontare il Camminare come esperienza nel senso più ampio del termine, che suggerisca una nuova modalità di viaggiare e scoprire nuovi luoghi o di vederne alcuni già noti da un punto di vista completamente diverso, insomma un libro e non una guida che possa far capire lo spirito con cui ho affrontato la Via...ops... la Mia Francigena. Vi terrò aggiornati.
Per ora, fine delle trasmissioni. 
Buon Cammino a tutti.

martedì 21 luglio 2015

La penultima tappa e le scelte obbligate

Campagnano - La Storta, 20 km.
Stamattina ho spento la sveglia e...per la prima volta dal 9 giugno mi sono riaddormentato. 
Cosa è successo? Facile a dirsi: avevo quel misto di ansia, paura, reazione a sogni brutti che invece di svegliarmi mi ha fatto richiudere gli occhi come se questo potesse bastare a risparmiarmi la tappa di oggi.
La disavventura di ieri ha pesato, e tanto, sul mio morale e sulla mia concentrazione che, si sa,  già si abbassa di suo con l'approssimarsi del traguardo finale; è una vecchia legge di montagna che bisogna tenere nella giusta considerazione.
La tappa di oggi prevedeva asfalto fino a Formello e poi una serie di stradine e sterrati in campo aperto fino a La Storta. Ecco, la seconda parte mi inquietava e non poco, non volevo ritrovarmi nuovamente a dover affrontare situazioni rischiose per cui sono stato costretto a scelte obbligate.
Ma andiamo con ordine.
Mi sono messo in cammino che erano le 7 (vergognaaa) e ho affrontato il percorso con tutta la serenità di cui ero capace, con l'orecchio sempre teso a carpire il minimo accenno di scampanellio ovino o di latrato canino. L'asfalto, seppur non trafficato, mi dava sicurezza e i pochi latrati e abbai che sentivo venivano dalle numerose ville davanti a cui passavo e che avevano i cancelli rigorosamente chiusi.  Sono arrivato così al Santuario della Madonna del Sorbo, luogo bellissimo e pieno di pace dove ho fatto una sosta piacevolissima. 
Da li a Formello una sterrata in mezzo al bosco, luogo notoriamente avverso agli ovini. Ho incontrato invece un bellissimo esemplare di bue dalle grandi corna che si è fatto fotografare amabilmente.

Formello non la conoscevo, il mini borgo è assai bellino, con Palazzo Chigi (non quello famigerato) sede di un museo e della biblioteca e dell'attigua chiesa al cui interno, nella navata di destra c'è una linea sul pavimento con i segni zodiacali e sulla parete in fondo un buchino in cui il sole a una certa ora filtra andando a colpire il segno zodiacale "in corso". Insomma, sacro e profano, i love it.
Fuori dalla chiesa mi sono seduto e, guida + app alla mano, ho riflettuto sul da farsi. Le possibilità erano due: la vallata e i campi aperti pieni di insidie "animali" e la strada trafficata e senza marciapiede, piena di insidie "motorizzate".
Come dicevo prima alcune scelte sono praticamente obbligate e io ho scelto la strada. Dire che è stata un'esperienza traumatica anche questa è dire poco ma sempre meglio che camminare con l'angoscia di vedere dietro ogni angolo il muso di un Maremmano incazzato.

9 km possono essere infiniti, anche se ne hai fatti 4 di Via Emilia o 3 di Aurelia che sono più trafficate; non finiscono mai e con il sole a picco rischiano di farti impazzire. 
Appena arrivato a La Storta mi sono rifugiato nel primo Bar che ho trovato e mi sono messo al riparo nell'ultimo tavolino in fondo, per staccarmi il più possibile da quei 9 km infami.
Inutile dire che i sono trangugiato due chinotti.

A Roma mancano ora 14 km e non ho mai desiderato così tanto vedere il colonnato di Bernini. Tutte le strade portano a Roma.

lunedì 20 luglio 2015

E venne la tappa del gran terrore

Sutri - Campagnano, 28 km.
Mi chiedo come si fa, come è possibile e pure come ho fatto a uscirne sano e salvo,
ma partiamo dall'inizio.
Esco alla solita ora, attraverso Sutri dove tutti i bar sono già aperti, quasi un miracolo. Scendo all'anfiteatro e percorro con molta attenzione il km di Cassia che mi separa dalla via secondaria che tra noccioli e uliveti mi porta verso Monterosi. Poco prima di arrivarci ho il primo incontro col mondo ovino e suoi annessi canini. Li vedo sopraggiungere in fondo alla strada, mi fermo, mi giro e vedo sopraggiungere una macchina bianca; la fermo e chiedo al ragazzo che la guida di traghettarmi oltre il gregge, lui sorride e mi fa accomodare. Saranno venti, forse trenta metri rubati al sentiero ma per una giusta causa; credo che non facciano testo nel computo finale.
Riparto e in breve arrivo a Monterosi, faccio una breve sosta per mangiare due susine e bere un po' e riparto di slancio che non voglio arrivare troppo tardi: Caronte brucia la strada dietro me e stargli davanti è dura.

Percorro lo svincolo della Cassia che saggiamente è stato messo in sicurezza e poco dopo abbandono la consolare a doppia corsia e mi inoltro tra i campi. La sterrata è tranquilla, quasi completamente in piano, passa fra campi coltivati e qualche villetta fino a raggiungere una strada asfaltata. La attraverso e mi trovo davanti i basolati di una vecchia strada romana. Faccio una breve sosta per qualche foto, bevo e riparto per la famigerata Via Cascinone. Appena oltre una collinetta c'è il mio appuntamento col terrore.
Sento già il classico scampanio del gregge di pecore prima ancora di vederlo poi girola curva e mi appare. Il pastore non c'è e sembra non ci siano nemmeno i cani ma so che questo è impossibile. Per sicurezza abbandono la sterrata e mi allargo verso il campo opposto allontanandomi dagli ovini ed è allora che spuntano, prima due poi altri due, poi ancora, arrivano da ogni parte e in un attimo ce li ho tutti addosso. Ringhiano, abbaiano, mi danzano intorno, sbattono i loro musi contro le mie gambe. Io so come comportarmi, testa bassa, cammino lento, niente movimenti bruschi, bastoncini orizontali, senza guardarli ma mi caco sotto comunque. Mi "scortano" per
dieci minuti, i dieci minuti più lunghi della mia vita. Sembra un attimo ma provate a contarli, a sentirli: durano un'eternità. Poi, improvvisamente, come sono arrivati se ne vanno, mi lasciano andare. Io non mi giro, continuo a camminare del mio passo finché non arrivo ad incrociare una strada sterrata e lì posso ricominciare a respirare.

Cammino da quasi 900 km e non mi è mai successo, dico MAI, in tutto il Cammino di avere problemi come questo. Mi dispiace parlare male della mia regione (anche se ora vivo in Toscana) ma le tappe laziali della Via Francigena sono le peggiori in assoluto, a livello di manutenzione, di segnaletica, di sicurezza per non parlare dell'abbandono in cui versano alcuni borghi tipo Vetralla che avrebbero buone possibilità di attirare turismo e che amministrazioni più oculate, nel corso del tempo, avrebbero saputo tutelare e traformare in piccoli gioiellini come Sutri, vera perla isolata della Tuscia. Si sente la differenza lasciandosi Radicofani alle spalle; io l'ho sentita e lo dico con la morte nel cuore.
Sono uscito da questa brutta avventura ed ho percorso gli ultimi 6 km della tappa con le orecchie tese ad ogni tintinnio, ad ogni rumore, con la paura di trovarmi ancora circondato. Io amo i cani, sia chiaro, e non ne ho paura ma penso a chi invece può averne a chi, come me, fa questo cammino da solo e magari ha meno sangue freddo o non sa come comportarsi: qualcosa potrebbe andare storto e questo non può, non deve succedere.
Per la cronaca gli unici animali incontrati nell'ultimo tratto sono state delle bellissime e pacifiche mucche, quelle dalle corna lunghe, e le lucertole. Le mucche diventano l'animale totemico di oggi e chi mi conosce sa che anni fa, quando andavo a camminare nel selvaggio Galles o nelle solitarie brughiere inglesi ho avuto dei problemi con loro...ma questa è un'altra storia.
A Roma mancano 38,2 km. Domani mi sa che faccio la Cassia: meglio travolto da un Tir che dilaniato dai cani...si fa per dire.

domenica 19 luglio 2015

Le mosche, le nocchie e l'anticaglia bella

Vetralla - Sutri, 24 km.
Una tappa molto bella, non c'è che dire. 
Sono partito alle 5,30 da Vetralla cominciando con un lungo rettilineo in salita che avrebbe affossato chiunque... chiunque ma non me.
Arrivato in cima la strada spiana e attraversa un piccolo paese per poi diventare sterrata ed entrare in un bosco meraviglioso fatto di querce antichissime e altri alberi enormi. Il bosco è solo per pedoni e mountain bikers e camminarci è un vero piacere. 
Unica pecca del luogo l'elevatissimo numero di mosche presenti che, essendo io l'unico essere  umano nel giro di km, si accaniscono su di me, circondandomi il viso di un invadente e rumoroso svolazzare. Forse si tratta delle temutissime Mosche Vampiro, perché appena si
abbandona la dolce ombra degli alberi secolari e si esce su un grande prato assolato spariscono.
Poco dopo però, finito il prato e passato uno slargo con un paio di case, il bosco ricomincia e le mosche pure. Comunciano a saltarmi i nervi, mi immagino con una racchetta stermina insetti in mano a dar battaglia, mi vedo intento a intagliarmi un piccolo paletto di frassino (ma non so minimamente come è fatto un frassino), mi idealizzo con una mega lattina di raid (roba da tipo 25 litri) ma niente, loro non hanno nessuna paura
dell'immaginazione umana.
In mio soccorso arrivano nuovamente lo spazio aperto e il sole; il bosco è finito, laudamus.

Da qui in poi sono praticamente solo noccioli, campi e campi coltivati a nocchie. Sono bassi, larghi e fanno una di quelle ombre tentatrici che attirerebbe chiunque... chiunque ma non me. Tiro dritto poi improvvisamente dal nocciolame emergono dei ruderi: sono le torri d'Orlando. Due sono tombe romane e la terza è una torre che apparteneva ad una chiesa romanica che non esiste più, anticaglia d.o.c. insomma. Il luogo è molto suggestivo e il silenzio assoluto lo rende ancor più magico.
Da lì a Capranica è poco. Il borgo antico merita la visita per cui scelgo la "via alta" traversando il botgo da porta a porta.
Scendo per una riida scala fino ad un piazzale dove il sentiero riparte con una pendenza vertiginosa. Il caldo è arrivato e si sente ma a Sutri mancano solo 5 km e a testa bassa me li macino tutti. 
Sutri è un gioiellino, con l'anfiteatro scavato nel tufo, le chiesette e il delizioso borgo. Ci sono già stato ma ci tornerò nel pomeriggio per una passeggiata e qualche foto.
La tappa si conclude qui.

A Roma mancano 58,9 km. Sempre più vicino.

sabato 18 luglio 2015

Fra gli ulivi, i cani strani e i cani bradi

Viterbo - Vetralla, 18,3 km.i
Se fossi partito a maggio oggi avrei scelto la variante dei monti Cimini che mi avrebbe fatto risparmiare un giorno facendomi passare per dei luoghi che da ragazzo conoscevo bene. Invece sono partito nel giugno dell'estate più calda da 136 anni, record mondiale di sfiga applicata alla sentieristica per cui ho scelto Vetralla e ho fatto bene. Alle 9 quel simpaticone di Caronte già rompeva i cabbasisi con le sue botte di caldo e anche la minima salita risultava stancante oltremisura. Ma veniamo alla cronaca: alle 5,30 esco da Viterbo Porta Valle e mi avvio per una stradina stretta e solitaria.
Abbandono i miei sandali morti su un palo indicatore e osservo il minuto di silenzio che si concede ai valorosi e agli eroi: loro lo erano.

Poco più avanti arrivo ad un altare votivo dedicato ai SS. Martiri Ilario e Valentino; è lì che faccio la prima sosta, mangio due susine e bevo un po'.
Appena caricato lo zaino mi  dirigo verso la stradina su cui puntano isegnali e mi accorgo in sequenza che: 1 - la stradina è chiusa in fondo da un cancello 2 - fra me e il cancello c'è un enorme cane bianco 3 - oltre il cancello un cane nero medio sopraggiunge baldanzoso. 
Un rivolino di sudore mi scende lungo la schiena: ha tutta l'aria di un'imboscata.
Faccio un paio di passi in avanti e paradossalmente il grosso cane bianco si fa prendere dal panico e cerca di rientrare nel giardino di appartenenza da un buco scavato per terra. Il buco risulta troppo piccolo e così il bestione si arrampica sulla rete con sforzo immane e riesce a catapultarsi al di là, al sicuro. Lancia un ululato triste e prolungato e io rimango bssito. Mi giro nuovamente verso il cancello e scopro che, magicamente, il nero medio è al di qua (e da dove sia passato è tuttora un mistero). Mi avvicino a piccoli passi e quello, appena gli sono a due metri si infila nel buco sotto la rete, fa mulinare le zampe posteriori e sgaiattola dentro anche lui. Non so cosa pensare. Istintivamente mi giro a controllare  che alle mie spalle non ci sia un Velociraptor, che sia lui il motivo della fuga dei cani ma non c'è nessuno.

Raggiungo il cancello: chiuso, con catena e lucchetto. Poi vedo che il lato sinistro nasconde un minicancello, tiro il chiavistello e quello si apre: voilat, si passa, ma non si spiega il mistero del cane. Perché indagare?
La tomba etrusca trasformata in catacomba che si incontra poco dopo è ovviamente chiusa per cui proseguo per la mia strada che, sotto forma di sterrata,  da qui in poi segue passo passo la statale 204, gli passa sopra e sotto un paio di volte e alla fine la molla al suo destino. Prima di farlo però mi regala ben altri due incontri cinofili.
Il primo: quasi all'inizio si passa per una specie di tagliata etrusca e sento abbaiare molti cani; passo accanto ad una spaccatura dove una stradina gira e si infila e lì c'è il comitato di accoglienza. Sono 4 o 5 e mi guardano non proprio amichevolmente. Io tiro dritto veloce per sparire al più presto dalla loro vista; si sa, lontano dagli occhi... Funziona.
Secondo: pochi minuti dopo un rumore attira la mia attenzione, mi giro e un metro indietro c'è un cane bianco, senza collare che passeggia al mio fianco. Non sembra aggressivo ma non averlo sentito arrivare mi inquieta non poco. Ci facciamo piu di un km insieme e io già fantastico di essere stato adottato, del veterinario da trovare a Vetralla e tutto il resto lui invece ad un bivio con una madonnina decide di andar da solo e sceglie la destra, io, ovviamente, la Sinistra.

Il paesaggio cambia, si comincia a camminare fra degli oliveti bellissimi, si sale ma in ombra e quando si arriva in cima al crinale tira anche un po' di venticello. C'è un'area sosta esposta al sole ma non si sta poi così male e così bevo un altro po' e mi riposo. A fianco un rudere di casa svetta sulla cima della collina: è così malandato che sembra debba venir giù da un momento all'altro. 
Riparto in discesa, sbuco su una strada e ne faccio un pezzettino poi nuovamente su sterrata si risale, altri olivi, qualche vigna.
Da qui in poi la sterrata si stringe un po' e scende rapida fino a pasare un fosso asciutto; bisogna risalire ed è qui che ho l'ultimo incontro del giorno. Faccio una ripida curva, larga,  lo sguardo è basso e non lo vedo fino all'ultimo. È un maremmano, grande, molto grande, è disteso per terra e pare morto. Gli passo a due metri e lui alza la testa, ci guardiamo: il suo sguardo dice "fa così caldo che anche il solo pensare di abbaiare mi affatica" il mio dice
"L'attuale temperatura non mi consente di esserti di disturbo in alcun modo" e così lui si rimette a dormire e io passo. 
Venti minuti dopo sono a Vetralla, sano e salvo.

A Roma mancano 77 km. Bau.

venerdì 17 luglio 2015

Il Bagnaccio e la morte del sandalo amico.

Montefiascone - Viterbo, 18,7 km.
Un'altra tappa breve oggi, ma comunque intensa.
Saluto il lago di Bolsena che sono le 6 in punto: di nuovo quella meravigliosa follia cromatica fatta di luce e riflessi.
La strada scende ripida e improvvisamente diventa antica. Sono di nuovo sulla Cassia , quella vera, e ci rimango per un bel pezzo. È conservata benissimo e, l'ho già scritto ieri, trasmette vibrazioni intense, cariche di storia, di voci, di preghiere e di urla, di fatica e di gioia: insomma, una specie di sub woofer emotivo sparatp a cannone.
Ci si fanno le foto con gli altri pellegrini, ognuno vuole conservare una immagine del suo io pellegrino che cammina la storia.

Alla fine dell'ultimo basolo inizia la sterrata che fa un doppio slalom sotto la ferrovia e poi affronta la modesta salita di monte Iugo. Dalla cima si gode un bel panorama sulla campagna viterbese e c'è anche un'area sosta  da cui mi faccio tentare.
Scendo con calma, attraverso la strada provinciale della Commenda, molto trafficata, soprattutto da persone che pensano di stare ad Indianapolis; credo che l'incrocio necessiterebbe un bell'attraversamento pedonale, o un autovelox.
Proseguo dritto e dopo pochi minuti arrivo al Bagnaccio, storico luogo termale di fricchettona memoria ora risistemato ma in maniera spartana e non invasiva. Il post sul blog dell'organizzazione che lo cura diceva che sarebbe stato chiuso per una poco chiara ordinanza di non so chi. Appena mi avvicino però la prima cosa che vedo è una cuffia dai colori sgargianti con sotto una signora sugli anta spinti: è apertooooo!!!
Entro, lascio volentieri 5€, mi spoglio, metto costume e ciabattine e splash. L'acqua è calda, molto calda ma passato il primo momento di turbamento mi ci adagio e mi metto a fare il brodino.
Ora si, ora sono un vero pellegrino. Questo era un luogo dove anticamente i pellegrini trovavano ristoro e riposo grazie alle proprietà curative delle sue acque.
Anche stamattina la "clientela" era composta per lo più da over 60 tendenti ai  70. Non si faceva altro che parlare di chi voleva far chiudere il sito e tutti concordavano che dietro ci fosse lo zampino delle terme "ufficiali" di Viterbo a cui non va giù il successo che il Bagnaccio sta avendo e la sua politica decisamente low cost. Inoltre la zona è ricca di acque termali e solforose, molte delle quali su terreni privati. Immaginate voi se altre strutture modello Bagnaccio aprissero nella zona.....
Comunque, io alle terme dei papi ci sono stato una volta e fanno un po' caha (come si dice a Firenze).

Ho passato due belle ore a mollo passando da acqua calda, a caldissima, a fresca poi però mi son dovuto rivestire per ricominciare a camminare. Mancavano ancora 8 km a Viterbo e il caldo nella piana stava salendo.
Mi sono messo a testa bassa e li ho macinati, fermandomi solo un paio di volte sotto l'ombra di un pino per rifiatare un secondo.
Sulla via per Porta Fiorentina mi sono fermato in un centro commerciale per comprare un paio di sandali di salvataggio. Ebbene si, i miei gloriosi epici Teva, che mi hanno accompagnato per tanti anni in montagna ed in città, hanno ceduto alla forza del tempo e alle 4 tappe di Francigena che gli ho imposto nonostante la loro non più tenera età. 
Ieri sera, di ritorno dalla cena, hanno esalato il loro ultimo respiro rimanendo così, a suola spalancata. Lunga gloria a voi, compagni di mille avventure, non vi dimenticherò mai. Mai e poi mai.

Viterbo è bella (e fra poco andrò a farmi un giro) ma soprattuto segna un punto di svolta in questo Cammino, il passaggio alle 2 cifre.
A Roma mancano ora 95,3 km. Let the countdown begin.

giovedì 16 luglio 2015

Il Pellegrino Polveroso e la Cassia molto antica

Bolsena - Montefiascone, 18,2 km.
Già lo sapete, "Bolsena dorme ecc. ecc." e che ci posso fare se tocca uscire prestissimo per fregare Caronte. Comunque un bar aperto c'era e ho bissato la colazione, poi via, direzione Montefiascone.
Premetto subito che è una tappa breve ma in continuo saliscendi e alcuni dei "sali" sono anche tostarelli ma facendo così si raggiunge più dolcemente la quota finale.
La sterrata sale veloce, basta una macchina che passa senza rallentare e si ripristina immediatamente la condizione di P.P. "pellegrino polveroso" che poi è la costante delle ultime tappe.
Si cammina fra ulivi, vigne e ville affacciate sul lago; quest'ultimo, colpito appena dai primi raggi del sole nascente si colora in maniera surreale forse per un gioco di riflessi con i tenui colori pastello del cielo. È uno spettacolo.

Continuo il saliscendi stile montagne russe e a un certo punto raggiungo il bordo del cratere dove si apre un grande pratone e il sentiero spiana. Sento fin da lontano il belare di un gregge e, si sa, dove ci sono le pecore ci sono i cani. Sono proprio li, belle piazzate in mezzo a quell'ampia sterrata meglio nota come Via Francigena, indecise se spostarsi sul pascolo di destra o su quello di sinistra. Nessuna si muove, quindi, non essendoci nessuno da seguire, stanno ferme. I cagnoni già mi guardano "in cagnesco" (scusate, non ne ho potuto fare a meno) e io mi fermo. C'è quell'attesa sospesa fatta di sguardi come nei film di Sergio Leone; aspetto solo che un amplificatore celeste inizi a trasmettere "the armonica man" di Morricone e invece Cane 1 ha pietà di me e con un solo bau emesso ad arte riesce a far partire l'intero pecorame verso sinistra. Aspetto che ci sia la distanza regolamentare sancita dallo storico trattato Uomo - Maremmano e poi riprendo il Cammino.
Un chilometro scarso e si arriva in un vero bosco magico, quello di Turona; grossi ed alti alberi che regalano un'ombra favolosa e un silenzio profondo. C'è anche una fonte con acqua fresca e buona e ne approfitto per bagnare la testa e riempire la borraccia. 
Si riscende ma non di molto poi la sterrata resta in costa ma su un sasso e un albero ci sono grossi segni e frecce che indicano di scendere per un ripido sentierino. Ci sono degli spagnoli che avevo incontrato l'altro ieri che non sanno cosa fare così ci facciamo coraggio e scendiamo. 
La guida cartacea faceva menzione di una variante con guado annesso ed eccolo lì, davanti a noi. È il fosso di Arlena, un allegro e vispo torrentello con grosse pietre che dovrebbero facilitarne l'attraversamento. Detto così sembra tutto facile ma qualche perplessità sul dove e come ce l'abbiamo. Gli spagnoli si rivelano dei cacasotto e quindi tocca a me fare da apripista. 
Saltello su quei sassi con una leggiadria che mi sembro Carla Fracci e in tre secondi sono al di là. Riparto subito lasciando gli spagnoli al loro destino (tanto ormai hanno visto come si fa).

Il sentiero risale ripido per tornantini stretti stretti fino a sfogare in un campo con ulivi e vista lago. Lì mi aspetta la storia, quella vera: un tratto della Cassia Antica è sotto i miei piedi, con il suo basolato ben conservato e ancora al suo posto dopo più di duemila anni. San Francesco la percorse a piedi scalzi nel suo viaggio verso Firenze, io non oso togliermi gli scarponi ma la cammino con un rispetto enorme e con la consapevolezza di star vivendo un momento importante del mio viaggio, nel senso più ampio del termine.
Montefiascone si avvicina velocemente, si cammina in quota e tutto questo caldo non si sente. C'è tempo per incontrare l'animale totemico di oggi, l'equino cappottato.
Ero lì che mi apprestavo a fotografare quello che consideravo uno splendido esemplare di cavallo quando lui si accascia di botto e comincia a rotolarsi sulla schiena, esattamente come fa la Jessie, la mia splendida cagnetta. Ora, io non mi intendo molto di cavalli, ma questa cosa qui non l'ho mai vista e mi è sembrata veramente surreale. Il cavallo vince il premio simpatia e la nomina totemica.

Non c'è molto altro; la fonte del Sambuco, molto bellina con il suo salice e le sue panchine ma con un getto d'acqua pari a 1, è proprio alle porte di Montefiascone come la milestone con il numero 100 che mente sui km ancora da fare.
A Roma ne mancano 113,5. 
Hey, oh, let's go.

mercoledì 15 luglio 2015

Caronte, il lago e le susine a scrocco

Acquapendente - Bolsena, 22 km.
Caronte è arrivato, lo so. Lo sento appena apro gli occhi alle 4,30 e la stanza invece di essere fresca per la finestra rimasta aperta tutto la notte è già calda. Il cuscino è zuppo e ci sono piccole chiazze rosse: le zanzare si sono nutrite di me stanotte.
Mi lavo e mi vesto in fretta perché ormai ogni tappa è una corsa contro il tempo.
Alle 5,15 sono al bar per fare colazione e un quarto d'ora più tardi sono in Cammino.

C'è un po di Cassia da fare, non molta poi ci si butta fra i campi per una comodissima sterrata che attraversa terreni seminati a girasoli, a pannocchiame (chi si rivede) e a un po' di tutto. 
Ci sono due annaffiatori agricoli che irrorano anche il passaggio ma è un po troppo presto per una doccia gelata; aspetto che entrambi facciano il loro giro poi passo e vado oltre. C'è unbellissimo casale abbandonato che con i primi taggi del sole sembra ancora più cupo: magia della luce radente.

Arrivo a San Lorenzo Nuovo che è l'unico paese che si incontra oggi. C'è una piazza con delle panchine all'ombra e ne approfitto per fare una sosta. Riempio la borraccia con acqua fresca e mi guardo un po' intorno. È strano, sembra che dopo la piazza, in fondo alla strada non ci sia nulla, una sorta di vuoto cosmico. Siamo sul bordo del cratere vulcanico che ospita il lago di Bolsena, proprio in pizzo in pizzo e appena mi affaccio rimango sbalordito. Ci sono stato, forse un paio di volte, ma non me lo ricordavo così grande, con le isolette e tutto il resto. Rimango ad osservarlo inebetito fino a quando un vecchietto mi si avvicina e mi fa "ma non si vergogna a camminare con questo caldo?"
Vengo improvvisamente rapito dal mio momento di estasi e ricatapultato nella mia condizione di pellegrino.
Bisogna ripartire, sento il caldo fiato di quel gran carognone del nocchiero addosso.

Un chilometro di Cassia poi di nuovo per boschi e campi. Il sentiero sale e scende ma lo fa dolcemente e c'è tanta bella ombra a mitigare il bollore. 
Gli scorci che si aprono di tanto in tanto sul lago laggiù rendono il Cammino assai più facile; ci sono delle belle panchine all'ombra qui e là e ad un certo punto spunta fuori anche una bella fonte di acqua freschissima che non era segnalata e che rinfranca spirito, gola e pure testa (una bella doccetta quando ce vò ce vò).

Poco dopo, mentre sono lì che cammino guardando il sentiero i miei occhi incontrano una susina, piccola, rossa; alzo lo sguardo e vedo un albero di cui nessuno si prende cura se non la natura stessa che lo fa crescere rigoglioso e pieno di frutti. Allungo una mano e colgo la prima susina che mi capita a tiro. La strofino ben bene sulla canottiera e me laschiaffo tutta intera in bocca. Rintocchi di campane, esplosioni di fuochi artificiali, cori da stadio: tutto questo nella mia testa ovviamente, per sancire la maestosità di gusto di quel piccolo frutto.
Inutile dire che faccio razzia dei rami più bassi, dubito che qualcuno avrà qualcosa da ridire.

Ho appena gettato l'ultimo seme nel prato quando le mie orecchie percepiscono un suono familiare. Alzo nuovamente gli occhi a scrutare il cielo ed eccolo là, l'animale totemico di oggi,  un bel falco che gira in tondo alla ricerca della preda. Lancia il suo verso, quasi un fischio, acuto e penetrante e io rimango incantato ad osservare le sue evoluzioni, il suo cavalcare il vento senza un battito d'ali. Faccio anche un po' il tifo per il coniglietto, sua preda naturale ma in fondo è la natura ed è così che deve essere.
Ho una stanzetta riservata in un ostello che si proclama a pochi passi dalla Francigena. Ecco, vorrei aprire qui ora, con voi, un dibattito sul tema: interpretazioni del termine Pochi Passi e sue possibili conseguenze.
I P.P. in questo caso equivalgono a 1 km abbondante di ripida sterrata sabbiosa. Sembra ci provino gusto da queste parti a concludere le tappe con una salita di Golgotiana memoria.
Metto il turbo e brucio tutte le energie ma quando arrivo su capisco che il gioco vale la candela. C'è una vista da quassù che lascia senza parole e poi pare sarò l'unico ospite per stanotte e questo è un bene. La solitudine, quando sono in posti così, mi esalta.

È presto, neanche le 11,30. Doccia, bucato, peschenoci, ghiaccio sulla caviglia (che va molto meglio) ed ora ricca, ricchissima pennica.
A Roma mancano 127,9 km e tutto va bene. Ciao e miao.

martedì 14 luglio 2015

I dolori del piede e la salita infame

Radicofani - Acquapendente, 24 km?
Metto il punto interrogativo perché non lo so quanti chilometri ho fatto veramente: la guida diceva 23, la App 24 e io ho dato retta alla App (che sarà mai un chilometro in più). Si vedeva già confrontando la cartina che qualcosa non quadrava ma, come si dice, è inutile piangere sul latte versato. Non polemizziamo e via con la cronaca.
Esco alle 5,30, Radicofani dorme. C'è già un minimo di luce e in lontananza vedo tre figure zaino munite che mi precedono. La discesa è tutta su sterrata, giù, lungo un bellissimo crinale che emerge dalla nebbia che riempie la valle a destra e a sinistra. Appena il sole fa capolino lo spettacolo ha inizio: fantasmagorici contrasti di colore, di luce ed ombra, emersioni suggestive di alberi e ruderi da quel mare di orzata che riempie tutto il circostante. Non faccio che fermarmi e scattare foto e questo non va bene ma come resistere? Come???
Sono buoni 7 km fino a Ponte a Rigo, villaggio inesistente fatto di una chiesetta assurda (sembra più un capannone industriale), un bar (che timbra la credenziale) e tre case di numero. La Cassia comincia a popolarsi lentamente per cui prendo un rapido caffè ed esco lasciandomi alle spalle un nutrito gruppo di pellegrini spagnoli caciaroni.

Dopo un km di Cassia si prende una strada a sinistra e il traffico si riduce del 99%.
Quando poi si abbandona anche questa per una sterrata il traffico cessa di esistere. Passo attraverso una valle larga e piatta piena di balle di fieno e girasoli: sono in brodo di giuggiole, la mia Nikon pure. 
Sarebbe tutto meraviglioso se il mio piede sinistro (quello martoriato dalle storte e torturato dalle ortiche) non incominciasse a lanciare segnali di allarme, bip bip bip. Il bip del piede va ascoltato e capito subito, altrimenti si rischia grosso.
Mi siedo per terra all'ombra di un albero e analizzo il sandalo: è ai minimi termini, ha dato quasi tutto quello che aveva da dare e, vista la sua età, è già un miracolo che non si sia rotto. È giunto il momento di far entrare in azione le scarpe comprate a Siena.

Riparto con la difficoltà che si ha indossando una qualunque scarpa nuova ma devo dire che il tempo di adattamento è più breve del previsto.
La sterrata prosegue salendo e percorre un bel crinale con viste mozzafiato sulla campagna dell'alta Tuscia Viterbese. In lontananza scorgo Proceno, piccolo paese arroccato che sarà la mia prossima sosta. Devo liberare i piedi e farli raffreddare perché il dolorino sotto la pianta non è scemato. Arrivo al bar sulla piazza centrale, mi siedo a un tavolino, mi tolgo gli scarponi e i calzini (nessun ferito) ed entro a piedi nudi neanche fossi a Stromboli.
Mi sparo due chinotti e mi prendo il tempo per fare un po' di editing alle foto e schiaffarle sui social. 
Acquapendente è a soli 6 km e ci vorrà poco più di un'ora.

Quando il piede mi dà l'ok riparto con grinta e scendo rapido prima su strada poi per un sentiero poco curato e gonfio di rovi fino ad arrivare di nuovo su asfalto e da qui, poco dopo, sulla Cassia. 
Ci sono due possibilità: 4 km di Consolare in dolce salita o la "direttissima", 2 km di salita infame con pendenze a tratti proibitive: vado per il Gran Premio della Montagna. Fortunatamente ci sono molti alberi e il sole trova poco spazio per venire a funestare il mio Cammino. 
Sono stanco, faccio fatica, sento la faccia accartocciarsi intutte le smorfie del catalogo sofferenza; a un certo punto mi fermo a bere e divoro in un nanosecondo una barretta gusto cioccolato mezza squagliata e così, bello dopato, faccio gli ultimi 500 metri ed entro ad Acquapendente, ignaro della reale entità del mio camminare.

Animale totemico di oggi: la mucca bianca vulgaris. Non per particolari meriti ma perché è l'unico animale che ho visto. Si sa, alle mucche piace vincere facile.
A Roma mancano 147,9 km.
San Ferreolo veglia sulle mie appendici inferiori.

lunedì 13 luglio 2015

Ghino di Tacco e i grilli grulli

San Quirico d'Orcia - Radicofani, 30 km.
Sulla carta era una tappa difficile, sia per i tanti chilometri che per la salita finale alla rocca di Radicofani: lo è stata.
Sono partito alle 5 precise, fuori era buio a parte un leggero rossore verso est; la strada bianca fino a Vignoni Alta è spettacolare come vedere la Val d'Orcia colorarsi lentamente con il sorgere del sole. Il borghetto è silenzioso quasi sempre ma stamane c'era da spaventarsi ad ascoltare quel "nulla". Un buon ritiro, sarebbe il luogo ideale: no bar, no ristorante, no negozio, zero.

Scendo a Bagno Vignoni e sulla strada c'è un cucciolo di cinghiale morto, sicuramente investito da una macchina; mi si stringe il cuore come per tutti gli uccellini, serpenti, topini e rospi che ho visto morti e travolti sulle strade di questo lungo, lungo Cammino.
Bagno Vignoni è il gioiello di sempre con la sua vasca borbottante; non ci sono i turisti che di solito la affollano e vi assicuro che è molto meglio. 
Posso goderne poco, ahimè, Ghino aspetta, la sua torre è lì in fondo, lontano, che mi sfida con la sua maestosità e io non posso tirarmi indietro.

Fino a Gallina è tutta Cassia ma grosso traffico non c'è. Con me camminano Francesca, sessantenne svizzera e un italiano di Bolzano. Facciamo il gioco dell'elastico fino al bar dove si abbandona la strada per la sterrata. Li loro si fermano a mangiare qualcosa e io continuo in solitaria perché le grosse sfide si affrontano così.
La sterrata si trasforma presto in strada abbandonata: è un tratto di Cassia dismessa il cui asfalto è grinzoso e bitorzoluto come la pelle di un dinosauro. Sale leggermente ma è ancora presto e il caldo è lieve e tira anche un po di vento. Ai lati i magnifici scenari della valle con i casali, i campi coltivati e gli alberi solitari.
Si sbuca infine sulla Cassia attuale e ad una pompa di benzina scambio due chiacchere con un nibelungo alto due metri, vestito da militare e con uno zaino gigantesco che sta facendo la Francigena da Roma a salire. Ci scambiamo un paio di dritte e poi via.
In realtà mi rifermo quasi subito: il sentiero passa lungo il fiume Paglia e le sue acque limpide. Non mi faccio sfuggire l'occasione, sfilo i sandali e metto i piedi a mollo; immediatamente un gruppo di pesciolini curiosi vengono a fare conoscenza con le mie appendici inferiori. Non sono loro però gli animali totemici di oggi bensì i Grilli Grulli che affollano il sentiero che comincia a salire e che saltando al mio arrivo si scontrano fra di loro come se pogassero, grilli punk del fiume Paglia, un super numero da circo.
Il sentiero ridiventa sterrata e aumenta la pendenza; ci siamo, da qui in avanti non si scherza più. Esco su strada e mi rifocillo per lo strappo finale.
Stringo i denti e stabilizzo il ritmo, bisogna andar su con cautela o si rischia il crollo. La torre è lì, la vedo ma ad ogni curva sembra che si sia spostata un po' più in là in una specie di rimpiattino crudele.
Sbuffo, il caldo cerca di fermarmi ma io ho in testa la marcia di Radetzki e non c'è nulla che possa ostacolarmi.
100 metri, altri 100 e così via, la strada sale ma alla fine arriva al bivio e da lì al centro del borgo sono pochi metri (comunque in salita). 
Gli alberi ricoprono tutto dando un piacevole senso di frescura ed anche il vento sale di giri ed è così che sconfiggo Ghino di Tacco e conquisto Radicofani.

Ghino era una specie di Robin Hood nostrano ma per questo vi rimando a wikipedia.
Dalla torre vedo dove ero ieri e dove sarò domani e un sacco di altre cose: è la magia di questo luogo, 360° di panorama mozzafiato.
A Roma mancano 171,7 km e domani si scende.

sabato 11 luglio 2015

La Tappa Gnappa

Ponte d'Arbia - San Quirico d'Orcia, 26 km.
La sveglia è leggermente posticipata oggi, tipo alle 6 perché alle 8,38 ho un appuntamento  a Buonconvento (che fa anche rima). Con chi vi chiederete voi e io non ve lo dico, dovete aspettare.
La cronaca
Mi metto in Cammino che sono le 7; il sole è già alto ma fa ancora fresco. Trecento metri di Cassia e poi su verso il crinale, in mezzo ai girasoli, nel silenzio.
Passo accanto a delle coloniche meravigliose, circondate da cipressi e vigneti e sogno ad occhi aperti di averne una, anche piccola, ma bellina, con una vista sul tramonto e un pergolato. "Dreaming is free" cantavono i Blondie per cui ...
La sterrata ridiscende poco dopo e mi porta a Buonconvento; è ancora presto per cui mi faccio un giro e becco Fiji e il suo padrone e altri due pellegrini. Due chiacchere poi è ora di andare in stazione.

Alle 8,38 precise il minuscolo treno arriva al binario 1, le porte si aprono e....rullo di tamburi, esce Bea, la mia compagna che eroicamente si aggrega per la tappa di oggi che lei stessa battezza "la tappa gnappa".
Sono 21 km fino a San Quirico, tanta strada, ma è anche una delle tappe più belle dell'intero Cammino e questo aiuta molto, moltissimo.

C'è poco più di un km di Cassia brutta da fare poi si prende a destra verso Montalcino dove un apposito sentiero corre in completa sicurezza a fianco della strada per poi abbandonarla definitivamente. Si entrra così in una terra magica, quella del Brunello.
I vigneti si perdono a vista d'occhio e camminare sulle strade bianche che li attraversano è miele  per gli occhi. Tira un bel venticello e anche le brevi salite risultano piacevoli. 
C'è addirittura una cantina (Caparzo) che fa la sosta del pellegrino e per 6€ ti da un calice di vino, un panino e una bottiglietta d'acqua. Non fa per noi così tiriamo dritti. Bea vuole assolutamente la foto sulle balle di fieno e per me è un vero piacere fargliela. Si cammina così, ridendo e scherzando, incuranti del caldo che cresce perché finché sei sul crinale stai bene, sul crinale ti senti dio e nulla può ferirti. Dura così fino a Torrenieri, dove si scende fino a incrociare nuovamente la Cassia brutta; la stanchezza
si fa sentire di botto e anche il caldo e noi ripariamo in un bar.

Dopo due chinotti con ghiaccio e quattro chiacchere pellegrine ripartiamo. Ci aspetta la salita fino a San Quirico d'Orcia, 6 km con 200 metri di dislivello che in condizioni normali non sarebbero nulla ma che con il caldo delle 13 possono essere letali.
Si sale subito, senza pietà. Sono stanco io che ormai sono allenato, figuriamoci Bea ma stringiamo i denti e andiamo, lento pede. Si va per la vecchia Cassia, ormai praticamente a traffico 0. Si scollina e si scende per poi risalire: è lo strappo finale, diamo tutto quello che abbiamo, ci spariamo tutta l'acqua rimasta in una sosta davanti al cimitero (unico posto a fornire un po' di ombra), Bea in calo di zuccheri si divora una barretta e poi diamo la stoccata finale entrando in paese da eroi, lei soprattutto, che è stata bravissima, ha stretto i denti e ha portato a termine il suo tratto di Cammino. Ora è qui che dormicchia mentre io scrivo: se lo merita tutto.
Domani non si cammina, domani relax; domani le regalo le terme, un massaggio e una giornata da ricordare, proprio come quella di oggi.
Dalla finestra della nostra stanza si vede tutta la Val d'Orcia e in fondo, lontano,  Radicofani...ma questa è la storia di lunedì.
A Roma mancano 200,2 km but...come cantavano gli Everything but the girl "I don't want to talk about it"

venerdì 10 luglio 2015

La valle strepitosa e la scarpa rancorosa (per non parlar del cane)

Siena - Ponte d'Arbia 25 km.

E alla fine fu il vento...e anche qualche grado in meno.
Siena, bella bellissima, era ancora meglio stamattina, svuotata dall'orda di turisti che la cinge d'assedio praticamente tutti i giorni dell'anno e d'estate di più. Solo un gruppo di americani buttati sulla scala che porta a Piazza del Campo circondati da bottiglie vuote e immondizia varia, neanche fosse una città loro, rompeva l'incanto. Li avrei caricati sul camion compattatore, vero lo dico.

Esco da Porta Romana e giro subitissimo a sinistra. La strada, prima in docile saliscendi e poi in discesa mi allontana da Siena dolcemente; il colore dei mattoni delle chiese e delle torri si accende con i primi raggi del sole ed è magia pura.
Quasi in fondo la sterrata gira a destra gemellandosi con l'Eroica, storico percorso ciclabile per supereroi. 
La separazione dalle mie scarpe era ormai sulla bocca di tutti: comprate senza nessuna convinzione, di fatto mai usate, ritirate fuori come sostituto improvvisato delle defunte scarpette prima scelta giustamente erano alquanto incazzate, piene di rancore e ben decise a rendermi la vita impossibile. Tre storte, una caviglia gonfia e dolente il loro triste bottino.
Direi che la scelta di separarci per sempre è stata la cosa più azzeccata che ho fatto in tutto il Cammino.
Le ho legate ad un palo indicatore della Francigena e "Adios Amigo"; ho infilato il sandalo (sul calzino) e sono tornato a camminare in scioltezza.

È stato lì che ho incontrato
Kiba, splendida cucciola Husky di sei mesi che portava a spasso il suo padrone. Mi ha leccato, mi ha zampato tutto, mi si è strusciata addosso senza vergogna guadagnandosi a pieno titolo la nomina ad animale totemico del giorno . 
Passeggio sull'Eroica Francigena per un po', costeggiando la Cassia poi finalmente attraverso la consolare e mi infilo a tutti gli effetti nella Val d'Arbia.

Avete presente quando incontrate una persona e per qualche bizzarra alchimia il cuore vi inizia a rimbalzare nella cassa toracica come la pallina nel flipper? L'amore a prima vista che ti lascia di stucco è un barbatrucco?
Ecco, esattamente quello.  La valle è bella, no, di più, è stupenda e il punto di vista è di quelli privilegiati: i crinali si susseguono dolci e armonici e un bel venticello li accarezza con brio e io partecipo all'incontro. Camminare diventa lieve anche perché ai lati gli occhi fanno scorpacciata di bellezza: campi coltivati che sembrano disegnati, geometrie folli di trebbiature recenti, alberi solitari a sfidare il vuoto e tanti, tantissimi girasoli, roba da andare fuori di testa (se vi piacciono i girasoli, s'intende, io li adoro).
Incontro persone, chi in cammino da poco, chi da tanto, incotro un giovane frate con i sandali, un calzino si e uno no, incontro un ciclista supereroe e la sosta non preoccupa: finché c'è vento c'è tempo..

Gli ultimi 3 km dopo Quinciano e la discesa a valle sono un po' duri perché quando ti sei abituato al crinale vorresti solo quello; fortunatamente durano poco e alla fine il paesino di Ponte d'Arbia mi accoglie pacifico e silente come nell'ora della siesta...ma sono solo le 12,34.
A Roma mancano 221,3 km.
Zitto e cammina, cammina e cammina.

giovedì 9 luglio 2015

Venere Infernale e le tre pecore in scala di grigio

Colle Val d'Elsa - Siena 22 km.
Grande giornata quella di oggi, per gli occhi, per l'anima e per il fisico (caviglia sinistra a parte). 
La dormita della notte (21.30/4.30)ha dato i suoi frutti e quando sono uscito, alle 5, fuori c'era solo un leggero chiarore. Il sole è sorto mentre ero già per la strada ed era una palla rossa di fuoco, una sorta di Venere infernale che esce dalle colline a turbare i pochi già svegli. I girasoli tutti hanno subito alzato il capo al suo apparire, rendendo omaggio e iniziando la loro lenta danza circolare. Uno spettacolo impareggiabile. In lontananza le torri della cinta muraria di Monteriggioni emergevano in controluce indicandomi la strada. 
Prima però bisognava andare ad Abbadia a Isola, splendido minimo borgo, luogo di accoglienza da sempre. Tutto taceva anche lì, i pochi pellegrini erano probabilmente già in Cammino, come me. Qualche foto e poi via, verso il castello.

Sulla strada sterrata incontro l'animale totemico di oggi che in realtà sono 3. Trattasi di Ovinus vulgaris, pecore insomma, diffidenti e paurose come è nella loro natura. Appena mi vedono si allontanano un po' e poi si fermano; io mi avvicino alla rete con la macchina fotografica e loro trotterellano poco più in là ma alla fine riesco a beccarle. Sono buffe una è nera, una grigia e una bianca, tre animaletti in fila indiana in perfetta scala di grigi. Sono buffe e si guadagnano il premio.
Mi bevo la salita fino alla porta nord di Monteriggioni ed entro nel borgo che sono quasi le otto. Non c'è praticamente nessuno a parte due tecnici che stanno montando un palchetto per la Festa Medievale.
Mi fermo giusto il tempo di bere un po' d'acqua e fare due foto, voglio arrivare presto a Siena.

Ci sono 14 km da fare, praticamente tutti su strade bianche e sentieri. Il paesaggio che mi circonda è da sogno, fra campi di grano, girasoli, colline boscose da cui spuntano bellissimi luoghi storici, come il Castello della Chiocciola con la sua torre e i due cipressi a far la guardia all'ingresso.
Poco dopo c'è Villa, un piccolissimo agglomerato di case storiche dove un signore ha messo su un'area sosta con sedie scolpite nei tronchi, una fontanella, un tavolo con sopra il libro dei pellegrini e il timbro per la credenziale. Riposarsi è d'obbligo e mi permette di conoscere Aldo e Giorgia con cui scambio volentieri un paio di parole e un pezzo di sentiero. Loro scelgono la via "ufficiale" e allungano di 8 km, io invece seguo la mia guida e in poco più di un'ora entro a Siena, esattamente a due passi dall'ostello; furbo no?

La caviglia duole ancora e credo che queste scarpe non vadano affatto bene. Mollo lo zaino e scendo alla stazione dove c'è Cisalfa e mi accatto uno scarponcino nuovo. Speriamo bene.
A Roma mancano 247,1 km.... tutti in discesaaaaaa!!!

mercoledì 8 luglio 2015

Frate Bernacca e le quattro spume cedro

Gambassi - Colle Val d'Elsa, 23 km.
Un'altra tappa meravigliosa quella di oggi, vissuta con un po' di sofferenza soprattutto nella prima parte, fino a San Gimignano. Andiamo con ordine e partiamo dalla sveglia che è stata drammatica. Ho pagato a caro prezzo il bel pomeriggio/sera di ieri con fuga al mare e relativa cenetta deliziosa al Nuovo Messico di Mazzanta (Vada). Ero tornato a Gambassi a mezzanotte felice ma esausto e con la consapevolezza di avere davanti solo quattro ore e mezzo di sonno. Mi consola il fatto che non avrei dormito comunque visto che la stanza in cui alloggiavo affacciava su un parchetto dove si svolgeva la festa della birra con tanto di concerto di una cover band (anche bravina) dei Pink Floyd terminato con una lunghissima versione di Run like hell ben oltre la mezzanotte. Ma questo era ieri.
Oggi alle 5,30 i bar di Gambassi erano ancora chiusi per cui sono partito senza il conforto di una buona colazione. 
La prima parte del Cammino è in discesa, prima su asfalto poi su strada bianca; c'è un'alba bellissima a consolazione del sonno e della fame, con un bel sole rosso che sale fra nuvole scure che, ahimè, si dissolveranno presto.

La salitaccia ti attende dietro l'angolo e ti fa recuperare di botto tutto il dislivello perso. Arrivo su che sono sudato mesto, col fiato corto e le gambe cedevoli. Faccio una sosta meritatissima; in lontananza si vedono già le torri di San Gimignano ma per toccarle mancano ancora 9 km. Riparto. Si va per crinali con dolci saliscendi e una vista bellissima. Si allunga un po' per salire alla Pieve di Cellole ma la bellezza del luogo e il suo silenzio irreale ne fanno uno dei posti più belli del percorso.
Due km e sono nella turrita San Gimignano che sarebbe uno dei borghi più belli al mondo se non fosse assediata dai negozi di souvenir e dai ristoranti che la fanno sembrare un luna park. 
Finalmente faccio colazione e metto energie fresche nel motore. Poi c'è l'incontro con Frate "Bernacca" e la giornata si anima di allegria.
Entro nel Convento di Sant'Agostino per timbrare la credenziale e il frate, in abiti civili, mi accoglie calorosamente; due parole veloci sul Cammino e sul meteoo e lui chiude con un "dovrebbe tirare un po' di vento" buttato lì quasi a caso. Beh, non ci crederete, ma appena fuori sulla piazzetta assolata un birichino refolo di aria mi avvolge: non mi lascerà fino alla discesa del crinale sopra  Colle Val d'Elsa. È cosa buona e giusta perché nel frattempo il caldo ha ricominciato il suo assalto e la salita fra i  bellissimi vigneti mette a dura prova il pellegrino, anche quello più 
È a metà di questa salita che un pennuto appartenente al genere "pollame poco noto" mi attraversa la strada: non è un tacchino, non è un fagiano, non è una faraona, non è un animale conosciuto ma è comunque il mio animale totemico di oggi, a pieno diritto. Magari ho scoperto una nuova specie e mi becco il Nobel, chissà.

Arrivo in cima e anche la meta di oggi appare in lontananza, saranno 4 km circa ma le mie batterie cominciano ad essere scariche e più mi scarico più mi deconcentro ed è così che torno a mettere un piede in fallo e la giornaliera storta alla caviglia sinisra si presenta, inesorabile. Mi fermo a testare i danni ma tutto sembra essere ok. 
Il passo rallenta ulteriormente, la sete sale a livelli vertiginosi come il mio desiderio di sedermi in un bar. Alla fine entro in paese e lì stramazzo; ingollo quattro spume al cedro con ghiaccio una via l'altra, come se non ci fosse un domani: finalmente il corpo gode e si rilassa ed io posso respirare sereno.

A Roma mancano ora 272 km. Il gioco si fa duro.

martedì 7 luglio 2015

Uccello atterrito/atterrato e le distanze relative

San Miniato - Gambassi Terme, 24 km.
È sicuramente una delle tappe più belle di tutto il cammino e credo che da qui a Radicofani saranno tutte meravigliose.
Alle 6,40 mi muovo, e mi lascio alle spalle la bellissima San Miniato, la sua torre e le sue stradine.
C'è un primo pezzo di asfalto, tutto messo in sicurezza con ringhiere di legno (si vede che siamo in Toscana) poi si imbocca una strada bianca e non la si molla praticamente più.

La salita iniziale (uno strappetto veloce) taglia un po' le gambe complice il caldo già alto ma la fatica viene ripagata alla grande. Sia a destra che a sinistra si aprono paesaggi incantevoli sulle colline e i campi coltivati; i giochi dei colori e delle linee non possono che solleticare la vista di un fotografo per cui scatto a ripetizione. 
A un certo punto, accanto ad un albero, un cartello recita "Francigena's Book" e in effetti in un contenitore, ben riparato da una pentola rossa, c'è un'agenda che serve come libro dei pellegrini; lascio il mio mesaggio e la mia firma e schizzo via (sedersi del resto era impossibile, la panchina è collassata).

Continuo in un dolce saliscendi poi mi infilo in un boschetto rendendo grazie per l'ombra. È proprio allora che, distratto dalla bellezza del posto, metto un piede in fallo e rischio nuovamente di sfracellarmi una caviglia, sempre la stessa, la sinistra. Santi bastoncini, sempre siano lodati: i miei migliori amici. 
Mi siedo un attimo giusto il tempo di far scemare un po' il dolore poi riparto.

Sono andato veloce, Gambassi è solo a 8 km, la vedo in lontananza. 
Il passo è un po rallentato, non voglio sforzare vista la botta presa.
Su un paletto con la segnaletica della Francigena qualcun'altro ha lasciato le sue scarpe ormai morte, dopo una lunga agonia fatta di cedimenti strutturali e di improbabili tentativi di riparazione con nastro adesivo nero. Spero abbia trovato dei validi sostituti altrimenti abbiamo un pellegrino scalzo lungo la Via.

Passo di fianco a un casale abbandonato e trovo un uccellino atterrato/atterrito. Non riesce ancora a volare ma le ali le muove bene. Provo a prenderlo con delicatezza ma lui scappa come può ed io non voglio accrescere il suo trauma. Mi basta sapere che sta bene e che l'istinto è dalla sua parte; ce la farà, è il mio animale totemico di oggi.
L'ultimo tratto è il più infame, sale "abbestia" come si dice qui. Sono 5 km ma sembrano mille: le distanze, verso la fine della tappa assumono un valore tutto loro, che va oltre la misurazione standard, diventano relative. Subentrano fattori che le dividono e le stravilgono, come la fatica, la voglia di una limonata ghiacciata, il caldo, le visioni mistiche di Fantozziana memoria. 
Quando è così c'è solo una cosa da fare: occhi bassi sul sentiero e mai guardare il nemico, la meta.

Gambassi è un forno ma il bar centrale (oasi del pellegrino) sa il fatto suo, mi coccola e mi timbra pure la credenziale. Cosa volere di più?
A Roma mancano 297,8 km, let the countdown begin

lunedì 6 luglio 2015

Hometime

Altopascio - San Miniato, 17 km.
Una tappa breve iniziata all'alba.
La cosa più bella è stata sicuramente il pezzo di vecchia Via Francigena riportato alla luce e testimone di un cammino antichissimo. Il percorso è tutto in natura, si attraversano le Cerbaie, una bellissima zona di vegetazione florida e variegata. Da li si sbuca a Fucecchio e poi a San Miniato. Sono posti che conosco bene, che fanno parte del mio territorio attuale. Passarci mi fa sentire a casa... e infatti ci sono. 
È questo il motivo di questo post così breve. Ho poco tempo per stare con gli affetti e me lo voglio godere tutto. Spero mi perdonerete.

A Roma mancano 321,8 km. A domani.

sabato 4 luglio 2015

The unhappy foot

Lucca -Altopascio 18 km.
Tappa breve ma sofferta a causa del dolore sotto il piede sinistro. Stringo i denti e vado, comunque.
Lucca dorme ancora. Questa cosa di uscire prestissimo alla fine mi piace, mi permette di vedere i luoghi storici privi dell'affollamento umano (e spesso disumano).  Stamattina l'unica persona che ho incontrato era un signore anziano che si trascinava dietro il carrellino con la bombola di ossigeno; era forse l'unico momento che aveva per farsi una passeggiata prima dell'arrivo della canicola. Oggi è arrivata presto.
Esco da Lucca da Porta Elisa e mi dirigo verso Capannori. A metà strada incontro un piccolo coniglio e non posso non fotografarlo anche perché lui mi lascia avvicinare, anzi, sembra quasi che si metta in posa.
È lì che ritrovo Peter, il ragazzo austriaco. Pensavo fosse ormai avanti visto il mio giorno di riposo al mare ma evidentemente ha fatto tappe più brevi. Facciamo qualche km insieme poi io mi fermo a bere e ci riperdiamo.

A Porcari mi fermo in farmacia per comprare una pomata. Il caldo è già torrido e sono solo le 10. Tiro dritto, voglio sbrigarmi però il piede mi fa male e riparo in un bar. Qui ci sono il ragazzo americano con la fidanzata vietnamita, pellegrini di lungo corso nonostante la loro giovane età; c'è anche la Moretti zero e allora si brinda e si festeggia anche il 4 luglio (ma niente fuochi artificiali per lui)
Li lascio lì, è veramente ora di andare. Altopascio è solo a un chilometro e io agogno il letto, la doccia e il ghiaccio sotto il piede.
A Roma mancano 344 km ma domani si arriva a casa e, si sa,
there's no place like home.

venerdì 3 luglio 2015

A Lucca con furore e goodbye scarpe

Pietrasanta - Lucca, 32 km (gli ultimi otto d'inferno).
Mi sveglio che è ancora buio, colazione, vestizione, pronti, partenza, via. 
Pietrasanta è una bolla di silenzio e tranquillità rotta soltanto dalla fragorosa ma muta presenza delle meravigliose sculture di Mitoraj. Giacciono nella piazza centrale appena illuminata dall'alba come se stessero dormendo. Era uno dei miei artisti preferiti ed iniziare questa lunghissima giornata con la visione di alcuni dei suoi pezzi più belli è una vera botta di energia: ne avrò bisogno.

Esco da Pietrasanta e dopo poco abbandono la strada principale per una meno trafficata che gira a sinistra.
Insieme a me ci sono la piccola Fiji e i due francesi; facciamo gruppo ma "ad elasticum" ovvero ogni tanto si sta insieme, ogni tanto no, a vole in testa a volte in coda. Andrà avanti così fino alle porte di Lucca.

Il cammino è bello e armonico, in leggero saliscendi alterna asfalto e sterrati passando fra vigneti, boschetti di bamboo e ponticelli su piccoli ruscelli. È così fino a Camaiore il cui centro storico è purtroppo assediato dal mercato. Metto il timbro sulla credenziale in un bar e mi scolo due succhi di mirtillo; il caldo non morde ancora ma fa sentire comunque la sua presenza, sembra sussurri "vai, vai, tanto dove scappi".
Dopo Camaiore si segue il ruscello e la Fiji ne approfitta per farsi un paio di bagnetti.  Si comincia a salire dolcemente poi ci sono un paio di strappi niente male su strada e in bosco fino ad arrivare a Montemagno dove una pausa è d'obbligo anche grazie alla presenza di una bella fontanella. Ci sono parecchi ciclisti ed un leccio antico che è il simbolo del paese; un cartello prega cortesemente i guidatori di biruote di evitare l'irrorazione del suddetto con getti fisiologici: insomma, non pisciate sul leccio.
I francesi allungano la sosta ed io parto in solitaria e in discesa. Arrivo così al paesello di Valpromaro dove timbro la credenziale e mi ritrovo a bere limonata "scheccherata" in un bar gestito da un ragazzone di napoli. Mi faccio due chiacchere e due risate con lui e riparto. I francesi sono lì fuori e il gruppetto si riunisce per l'ultima salita, quella al Passo delle Gavine e a Piazzano, piccolo e meraviglioso paesino che esporta silenzio in tutto il mondo.
Da lì è solo discesa e caldo e poi pianura e super caldo. Alla fine è arrivato, inferocito come non mai.  È la fine.
Poco prima di attraversare il fiume incontro una signora che sta annaffiando delle piante. Le dico "che me la da un'innaffiata signora?" "Accomodati risponde lei" e appena io chino il capo mi doccia potentemente. Sono asciutto dopo pochi minuti e c'è ancora tutto il lungofiume da fare. Un passo dopo l'altro mi trascino fino alle mura ed entro in città. Anche oggi ho vinto io.
Lucca è bellissima e faccio qualche foto prima di trovare il giusto riposo. Le scarpe mi hanno abbandonato e domani sarò io ad abbandonare loro in un secchio dell'immondizia.
A Roma mancano 361,5 km. Nothing more to say.

giovedì 2 luglio 2015

Fiji, il caldo e la rosa dei venti inesistenti

Sarzana - Querceta (Pietrasanta), 32 km.
Mi sveglio alle 5; Pitelli dorme ancora e il sole è sorto da poco e infatti i galli cantano felici. Federica (santa donna) mi aspetta sotto casa per portarmi con la macchina a Sarzana dove avevo lasciato l'altro ieri. La giornata di riposo e di mare ha carezzato i miei muscoli e anche la caviglia sta molto meglio. 
Carico lo zaino e parto.

Anche Sarzana è una bella addormentata, cammino per la sua strada principale in punta di sandalo scattando qualche foto poi esco da Porta Romana e incontro Aurelia. Si si, è lei, l'amica di Emilia, si somigliano pure ma l'ora è presta e grosso traffico ancora non c'è.
Sono quasi 5 km fino alla stazione di Luni dove finalmente abbandono la Consolare per una più silenziosa e comoda stradina di campagna che scorre sinuosa fra filari di vite e ruderi romani. Il colpo d'occhio sulle Apuane oltre le quali è appena spuntato il sole è da urlo: c'è una leggera nebbiolina a mezzacosta che dona un che di magico, se mai ce ne fosse bisogno, a queste meravigliose montagne.

Meno meravigliosa è la strada che si fa per raggiungere Massa. La guida mi fa passare lungo la ferrovia attraverso la zona industriale e dei depositi di marmo. Stanno facendo dei lavori lungo la strada e il caos regna sovrano, con clacson impazziti, iperboliche nuvole di polvere e gran fragore di camion. C'è da uscire pazzi e ci sto quasi riuscendo quando la direzione muta e torna magicamente la quiete. Poco dopo incontro la ciclopedonale che mi porta fino a Massa. A metà della salita (lieve) c'è l'incontro meraviglioso con Fiji, cagnolino pellegrino, il suo padrone e un altro pellegrino, tutti e due francesi. Foto di rito poi due chiacchere mentre il cane mangia, libero finalmente dal suo zainetto.
Attraverso Massa velocemente ma passo in comune per timbrare la credenziale. Li tre persone dietro il vetro dello sportello mi guardano come fossi un alieno ma lo fanno sorridendo e alla fine penso che provino un briciolo di invidia per il senso di avventura che un viaggio come questo può dare in confronto all'usurante routine di un lavoro dietro uno sportello.
Esco da Massa, faccio un paio di km di Aurelia e poi devio verso Montignoso. Non ci arrivo perché un ponticello mi fa attraversare il torrente e mi dirige verso il Castello Aghinolfi. Il caldo ormai è esploso in tutto il suo splendore e la salita è dura, 200 metri di dislivello a tornanti. Vado a cercarmi ogni possibile ombra passando da un lato all'altro della carreggiata ma il sole mi riacchiappa subito, ogni volta. Arrivato in cima mi accascio all'ombra vicino ad una strana piattaforma di roccia con qualcosa di luccicante sopra; poggio lo zaino, bevo e vado ad osservare meglio lo strano bagliore, la sua origine. È un cerchio di metallo con una stella, la Rosa dei venti, venti assenti, in ogni direzione. Non si muove una foglia, la canicola impazza e le cicale friniscono senza sosta. 
Sono loro l'animale totemico di oggi, fedeli compagne del caldo fin dai ricordi d'infanzia e noto sonnifero ipnotico universale. Mi abbioccherei volentieri ma chi si ferma è perduto.

Di nuovo in marcia, la strada spiana e poi inizia a scendere. Sono tante, fortunatamente, le fonti sotto le quali mettere il capo per trovare un pizzico di refrigerio ma quando arrivo al paesino di Strettoia (esiste, lo giuro) fermarsi al bar diventa obbligatorio e, non ci crederete mai, hanno la Moretti Zero, birra analcolica nostrana. La mischio con la lemonsoda e mi viene fuori una Radler suprema, la cosa più dissetante al mondo. Sono costretto a prenderne un'altra per finire la limonata e andrei anche avanti per le ore con questo giochetto Pulcinella Style ma a fine tappa mancano poco più di due km e ho una disperata voglia di farmi una doccia.
Rimetto i muscoli in moto, passo davanti a un monumento che testimonia l'esistenza della Linea Gotica e scendo fino al  paesino di Querceta dove finalmente posso godermi il meritato riposo.
A Roma mancano 396 km. Chi la dura la vince.

mercoledì 1 luglio 2015

Castelli morti e piante assassine

Barbarasco - Sarzana 20 km.
Tappa breve ma faticosa, funestata da un caldo umido che alle 10 già impazzava furente. 
La "fredda" cronaca.

Da Barbarasco ad Aulla si va per asfalto e poi per una bella ciclabile ricavata da una ferrovia dismessa. Aulla è sinceramente una cittadina anonima e inoltre mi riserva la brutta sorpresa di una piazza dedicata per metà a Gramsci e per metà a Craxi che è una vera e propria aberrazione.
Metto il timbro sulla credenziale e riparto al volo, destinazione Casello di Bibola. La stradina diventa subito sentiero impervio, inesorabile salita ricca di ostacoli. Ci sono due grossi alberi caduti che bloccano il passaggio e superarli è assai complicato ma poi si esce su sterrata e dopo poco si arriva nel borghetto. 
Del castello rimane assai poco, e anche di gente non se ne vede molta, due per la precisione, una signora novantenne che lavora la lana (povera, gli si è ingarbugliata tutta) e un uomo di età  indefinita e sguardo vagamente folle che idossa guanti di lattice (un serial killer?). 
Rapido giro e poi via verso Vecchietto, altro borgo silenzioso e all'apparenza disabitato. 
Da li il sentiero si stringe, si addobba di tutte le piante spinose del mondo e decide che la "direttissima" verso Ponzano Superiore è l'unica via. Faccio fatica, non tira un filo d'aria, sudo modello fontana barocca, mi scortico braccia e gambe, lotto con insetti mai visti ma alla fine guadagno la cima e sbuco su sterrata.
Lì tira anche un po' di vento e il cammino si fa più lieve e soprattutto si comincia a scendere. Poi a un certo punto, poco prima di entrare a Ponzano, appare anche il mare e il corpo intero ha un brivido al solo pensiero di un bagnetto fresco.
Sarà quello a farmi distrarre, sarà il terreno sdrucciolevole, sarà la stanchezza ma metto un piede in fallo e per poco non mi frantumo una caviglia. Santi bastoncini, anche oggi.

Dolorante ma salvo arrivo in paese e mi concedo una sosta, breve perché ci sono ancora 8 km da fare ed ho appuntamento con chi mi ospiterà per la notte.
Di nuovo su sentiero, meglio stavolta, scendo rapidamente, passo per le rovine del castello della Brina e sbuco a Sarzana esausto. Da lì vengo gentilmente portato a Pitelli, piccolo paese arroccato sulle colline a ridosso del mare dove mi prenderò un giorno di riposo dopo le fatiche appenniniche. Me lo merito tutto!!!
Animale totemico di oggi (come di tanti altri giorni) è il cane, in tutte le sue forme e declinazioni, dal Dogo argentino al Bassotto, dall'Alano al cucciolo di meticcio (golden retriver e qualcos'altro) che si è fatto accarezzare felice e beato, fino al cagnetto che mi ha leccato avidamente le caviglie sudate (a ognuno i suoi gusti). I cani sono parte dell'uomo, i due sono inscindibili, riescono a darsi amore come poche altre creature sanno fare; mi piacciono i cani e se anche non fanno altro che abbaiare da dietro i cancelli quando passo, io li amo lo stesso.
A Roma mancano adesso 426,6 km. These boots are made for walking...and that's just what they do.

lunedì 29 giugno 2015

Zì Prete, le Parche e il pesciolino solo

Pontremoli - Barbarasco, 23 km.
Lasciare Pontremoli è un po' dura perché quando un posto ti piace così tanto, spizzicarlo solo per un giorno ti lascia con la fame. 
Esco alle 6,30 e tutto è silenzio e quiete.  Sul viale alberato lungo il fiume incontro Zi' Prete; passeggia nella sua lunga tonaca nera, breviario in mano, un Don Abbondio in salsa toscana.. Io gli scatto una foto quando è ancora ad una certa distanza e quando ci incrociamo lui mi fa "Lei mi ha fotografato" "Non potevo farne a meno" rispondo io. È un dialogo minimale e vagamente surreale, vista l'ora; non può finire così, lo sappiamo tutti e due.

Pochi passi lungo la statale poi si devia per piccole stradine laterali, parcheggi di zone industriali,, marciapiedi improvvisati fino ad arrivare dietro una chiesa dove si abbandona definitivamente la statale e ci si inoltra (in salita) in bosco. Le gambe risentono un po' dello sforzo dei due giorni passati e poi lo zaino sembra stramaledettamente più pesante oggi. Sarà il libro di Benni che ho comprato ieri in una bancarella per due euro; lo so, non si compra nulla in Cammino ma era Saltatempo in prima edizione e non ho resistito.
Qualche km e arrivo alla bellissima Pieve di Sorano e non ci crederete...è aperta!!!
Mi levo il cappello ed entro. C'è una persona seduta al quarto banco, mi avvicino lentamente e una voce fa "ci si rivede allora"  "penso fosse inevitabile" rispondo io poi Zi' Prete si gira e mi sorride.
È venuto con la corriera per tenere un po' aperta la Pieve a devoti, pellegrini e turisti comuni. Inutile dirvi che mi sono dovuto sorbire un sermone privato di mezz'ora sui temi più comuni del clero: la famiglia, la fede, la morte. Lui è incuriosito dai miei tattoo e mi chiede cosa c'è scritto sotto la rosa. Io gli spiego la mia passione per le Parche e lui riparte a parlare del suo lavoro di preside di un liceo classico. Insomma, di riffa e di raffa Zi' Prete mi fa perdere quasi un'ora vanificando l'alzataccia mattutina. Gli stringo comunque la mano e lui mi cita Leopardi come stoccata finale.

La strada si inerpica crudele al borgo di Filattiera (bellissimo) e da lì riparte per boschi e in quota in direzione di Filetto altro splendido posto. Qui si consuma il lauto pasto fatto di 1 banana e 2 prugne. Evviva.
La strada scende quindi verso Villafranca e attraversa un'arido fiume Magra ricominciando a salire, dolce ma inesorabile per tre km, fino al borgo di Lusuolo con il suo castello, bello e così irrimediabilmente chiuso.
Nel paesino (una strada) non c'è nemmeno un bar ma una mini piazzetta con pozzo e fontanella funge da ricovero all'ombra per l'accaldato pellegrino.

Da lì a Barbarasco è tutta in discesa ed io la cavalco dopo aver sostituito le scarpe coni sandali, poveri piedi miei.
L'animale totemico di oggi è il singolo pescetto che ho visto nuotare nelle limpide acque di un piccolo torrente affluente del Magra. Mi ha dato un senso profondo di equilibrio, la cosa giusta al posto giusto, nonso se mi spiego. La Lunigiana è una bellissima terra che meriterebbe maggior tempo e maggior dedizione. Magari un'altra volta.
A Roma mancano 446,5 km e metà del Cammino l'ho già portato a termine. Si va avanti, un passo-lento alla volta. Don't worry, be happy.